Sierra Leone, dove l’Ebola continua a uccidere

Padre Carlo Di Sopra è missionario saveriano, vive a Makeni: "L’economia è bloccata, i mercati sono proibiti, le scuole sono chiuse, gli ospedali sono alla paralisi perché molti medici sono rimasti infettati". La scelta coraggiosa dei missionari di rimanere accanto al popolo.

Di Ebola in Sierra Leone si continua a morire. L’emergenza non è finita. Padre Carlo Di Sopra è missionario saveriano, vive a Makeni, la più grande città della provincia del Nord e capoluogo del distretto di Bombali. “Mentre in Guinea e in Liberia - dice - sembra che la situazione stia migliorando, in Sierra Leone ci sono giorni in cui i nuovi casi di infezione sono ancora moltissimi, 80/90”. I casi finora accertati (dati al 14 dicembre) sono 6.638 e i morti di Ebola 1.999. “Ma i medici - precisa subito il missionario - dicono che si dovrebbero moltiplicare per tre queste cifre per avvicinarci alla realtà. E questo nonostante gli sforzi per contenere il virus da parte del governo e della comunità internazionale”. Tra i “caduti sul campo” ci sono purtroppo anche gli operatori sanitari, che nel prodigarsi per contenere l’infezione, ne sono stati a loro volta colpiti, spesso con esiti letali, impoverendo quindi le strutture sanitarie. Si trova in difficoltà anche l’Ospedale diocesano cattolico di Makeni “Holy Spirit” in Sierra Leone. Con gli altri religiosi della sua congregazione, e con tutta la diocesi di Makeni, Padre Carlo è impegnato fra l’altro per fare riprendere piena operatività all’ospedale (per sostenere il progetto, info: www.amu-it.eu). Proprio in Sierra Leone è arrivato in questi giorni il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace per portare qui e poi in Liberia la solidarietà del Papa.

 

Padre Carlo, come si convive con l’Ebola?

“Adesso ci siamo un po’ abituati, ma non è stato facile. Ebola è un nemico letale e silenzioso. All’inizio si era un po’ sconcertati, senza saper bene come comportarsi. Sembrava di essere senza scampo. Le compagnie aeree sospendevano i voli; molti stranieri che erano qui per lavoro, lasciavano in fretta il paese. E poi, ad un certo punto hai la febbre alta… ed anche il tuo confratello in comunità ha la febbre. Non è simpatico avere la febbre alta in questo periodo perché è uno dei sintomi dell’Ebola. Poi, quando si abbassa con l’antimalarico respiri… solo una malaria!”.

 

Quali conseguenze ha avuto Ebola sulla vita del Paese?

“C’è tristezza. L’economia è bloccata. Le grosse compagnie minerarie hanno sospeso i lavori. I mercati sono proibiti. Le scuole sono chiuse e non si sa quando potranno riaprire. Gli ospedali sono alla paralisi perché molti medici sono rimasti infettati. In questo modo alle vittime dell’Ebola bisogna aggiungere anche quelle per altre malattie che, in situazione normale, avrebbero potuto essere guarite negli ospedali”.

 

Quanti sono gli orfani?

“Ci sono casi di famiglie distrutte. È molto difficile dare numeri precisi degli orfani. La realtà è che l’attenzione è posta ancora sul fermare il virus. Poi verrà il tempo di considerare i danni che ha provocato e contare vittime ed effetti collaterali. Il processo cioè è ancora in atto e il futuro ancora incerto”.

 

Voi, missionari italiani, potevate tornare a casa. Perché non lo avete fatto?

“Un giorno un medico, parlando ai saveriani in Sierra Leone, ci ha detto: ‘C’è stata la guerra e siete rimasti con noi, ora c’è l’Ebola e siete ancora qui con noi, grazie’. Ma non ci sentiamo eroi per questo. Anche noi abbiamo dovuto superare l’iniziale paura. Un po’ alla volta capiamo con la vita che l’annuncio del Vangelo non si fa solo con le parole ma con la condivisione, camminando insieme a quelli a cui Dio ci ha mandato anche quando la strada è in salita o piena di buche”.

 

Ormai di Ebola in Europa non si parla più. Vuole lanciare un appello all’Italia?

“Sì, prima di tutto vorrei dire grazie comunque alle tante persone che aiutano direttamente a lottare contro questo virus anche a rischio della vita. Come il medico che è stato contagiato qui in Sierra Leone. Vorrei ringraziare tanti che collaborano anche materialmente per sostenere queste azioni. Finché questa battaglia non è finita, ci sono tanti che soffrono e che muoiono. Bisogna tenere la guardia alta. Vorrei fare poi un appello a tanti giovani: non buttate via la vita, vivetela bene donandola, ci sono tanti che aspettano non solo quello che avete ma quello che siete. Non abbiate paura a lasciare, a partire, a dare”.