Territori massacrati dalle estrazioni dell’oro e del ferro

La forte denuncia dei vescovi del Celam, a Washington, dinanzi alla Commissione inter-americana sui diritti umani. Non si contano le violazioni e lo sfruttamento delle popolazioni indigene, soprattutto in Honduras, Guatemala e Nicaragua

Violazioni continue dei diritti umani, soprattutto verso le popolazioni indigene, condizioni di lavoro disumane, deportazioni forzate, distruzione del territorio, mancanza di rispetto per il creato. Guardando alla realtà delle estrazioni di idrocarburi, minerali, pietre preziose in America Latina si può capire in modo nitido cosa intenda papa Francesco per “cultura dello scarto”. Per questo le Chiese dell’America Latina, a cominciare dai vescovi del Celam, hanno deciso di alzare la propria voce in modo unitario - dopo averlo già fatto tante volte nei singoli Paesi e diocesi - nel corso di un’importante udienza pubblica della Commissione inter-americana sui diritti umani (Cidh), svoltasi a Washington, il 19 marzo. Nell’occasione sono stati ascoltati i rappresentanti delle Chiese dell’America Latina, a cominciare dai vescovi, sul delicato tema “Diritti umani e industrie estrattive in America Latina”. All’udienza hanno partecipato i rappresentanti del Consiglio episcopale latinoamericano (Celam), del Segretariato latino-americano della Caritas (Selacc), della Confederazione latinoamericana dei religiosi (Clar), della Commissione per l’Amazzonia della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb) e della Rete ecclesiale Panamazzonica (Repam).

 

Il Centroamerica “ceduto” alle imprese canadesi

Il vescovo della diocesi guatemalteca di Huehuetenango, monsignor Alvaro Ramazzini, in occasione dell’udienza presso la Cidh, ha evidenziato il dovere di proteggere “i più poveri tra i poveri”. Il pastore ha denunciato “il comportamento irresponsabile delle multinazionali, che non rispettano gli accordi internazionali, mentre gli Stati rimangono passivi di fronte a queste pratiche estrattive”. I dati sulle attività minerarie in America centrale sono in effetti impressionanti. Lo studio del 2011 sugli “Impatti dell’estrazione dei metalli in Centroamerica” del Ceicom (Centro di investigazione su investimenti e commercio) rivela che il 14% del totale del territorio centroamericano è stato ceduto in concessione a imprese minerarie, soprattutto di capitale canadese (il 50% e il 70% dell’attività mineraria in America Latina è in mano a imprese canadesi). I tre Stati maggiormente coinvolti in queste attività sono l’Honduras, il Guatemala e il Nicaragua. L’aumento delle attività, oltre che dalla “deregulation” messa in atto dai Governi nazionali, deriva dalla crescita della domanda internazionale per i metalli, soprattutto l’oro (il cui prezzo è schizzato in alto negli ultimi 15 anni) e il ferro, necessario per la produzione di acciaio da parte della Cina e degli altri Paesi emergenti. Secondo uno studio dell’Icefi (Istituto centroamericano di studi fiscali) in Honduras esistono progetti minerari potenziali che arrivano a coinvolgere il 35% del territorio nazionale. Il Guatemala ha dato in concessione alle aziende minerarie quasi il 30% del territorio nazionale. In Nicaragua l’oro è diventato nel 2013 il principale prodotto d’esportazione, con più di 442 milioni di dollari, ma sono ben pochi i profitti che restano nel Paese, dato che le “royalties” non superano il 3% del valore estratto.

 

In America Latina gravi danni all’ambiente

Anche in America del Sud il fenomeno delle estrazioni è di vaste proporzioni e molte sono le violazioni di diritti e i danni per l’ambiente. Nel corso dell’udienza di Washington monsignor Pedro Barreto Jimeno, arcivescovo di Huancayo (Perù) e presidente del Dipartimento di giustizia e solidarietà del Celam, ha denunciato: “Siamo testimoni oculari dell’aumento delle patologie che le popolazioni indigene subiscono a causa dei gas e della distruzione del patrimonio ambientale”. Nel corso dell’udienza si è parlato di casi che riguardano il Perù, l’Ecuador e il Brasile, con particolare attenzione all’ambiente dell’Amazzonia, dove costantemente vengono violati i diritti delle popolazioni indigene. Mauricio Lopez, segretario esecutivo della Repam, ha proposto iniziative di coordinamento e di monitoraggio costante, che portino a una maggiore sensibilizzazione dei Governi sul tema. Va ricordato che l’America Latina è la più grande riserva di minerali metallici nel mondo: i più ambiti sono l’oro e l’argento, le pietre preziose (come lo smeraldo in Colombia). Circa il 90% delle miniere è a cielo aperto e di conseguenza le estrazioni causano la contaminazione delle acque, oltre che danni al suolo e all’aria.

 

La solidarietà dei vescovi canadesi

L’udienza del 19 marzo è stata definita “storica” dalla presidente della Commissione inter-americana per i diritti umani, Rose-Marie Antoine e, “senza precedenti”, dal segretario esecutivo Emilio Alvarez Icaza. Qualche effetto già si vede. Dopo l’udienza, il presidente della Conferenza episcopale del Canada, monsignor Paul-André Durocher, arcivescovo di Gatineau, ha manifestato la solidarietà dell’episcopato ai vescovi del Celam. “Siamo particolarmente preoccupati - ha scritto Durocher - nel vedere che la maggior parte delle operazioni di estrazione mineraria in America Latina venga realizzata da aziende registrate in Canada”. L’arcivescovo di Gatineau ha ricordato inoltre che in America Latina l’estrazione mineraria e di altre risorse non ha prodotto benefici per lo sviluppo umano ed economico delle società.