Trump: l’America e il mondo a una svolta

Non è azzardato prevedere che l’insediamento alla Presidenza USA di Donald Trump segni una fase di rottura nella politica del suo Paese e che qualcosa di analogo possa avvenire per il resto del mondo e per l’Europa.

Non è azzardato prevedere che l’insediamento alla Presidenza USA di Donald Trump segni una fase di rottura nella politica del suo Paese e che qualcosa di analogo possa avvenire per il resto del mondo e per l’Europa.

Negli USA la svolta ha il segno di un presidente imprevisto e imprevedibile, assecondato – almeno per ora – in entrambi i rami del Congresso da una maggioranza repubblicana intenzionata ad azzerare molte delle politiche promosse da Obama, in particolare in ambito sociale e sanitario.

Non meno importanti le ricadute della svolta americana fuori dagli USA, che si tratti di politica estera e di sicurezza, di politica commerciale o di accordi sulla lotta al cambiamento climatico.

Novità importanti si annunciano nelle relazioni con la Russia, orientate a misure di distensione; con la Cina, bersaglio privilegiato per rivedere la politica commerciale e quella valutaria; i Medioriente ridando fuoco alle polveri nel conflitto israelo-palestinese e provocando l’Iran e con l’Unione Europea, per frenarne il processo di integrazione e chiamarla alle sue responsabilità in materia di sicurezza e difesa, nel quadro di una rivisitazione dell’Alleanza atlantica (NATO).

“Vasto programma”, avrebbe detto con ironia Charles de Gaulle, di fronte alle smisurate ambizioni di un uomo senza esperienza politica, nazionale e internazionale; uno che si avvia a “governare sul bordo del precipizio”, come ebbe a dire, in altro contesto, lo scrittore francese Victor Hugo.

Si comincerà con gli annunciati scossoni alle relazioni commerciali internazionali, minacciando o alzando barriere di protezione agli scambi per salvaguardare gli interessi degli USA, ma con il pericolo di innescare una spirale che si allargherà a macchia d’olio e non farà bene alla crescita e peggiorerà le condizioni dei Paesi più deboli, alimentando nuove spinte migratorie. Si continuerà con attacchi alle organizzazioni multilaterali, onusiane e non, con un ritorno al negoziato bilaterale dove gli USA ritengono di avere un rapporto di forza favorevole.

In attesa di capire quanto accadrà in ambito militare, in una stagione che registra una netta avanzata di politiche di riarmo e di rafforzamento dell’arsenale nucleare, l’arma del commercio sostituirà le cannoniere, con il rischio di richiamarle in attività, in particolare in Asia, come se già non bastassero i conflitti in Medioriente.

Non ci sarà da aspettare molto per capire quale sarà la sorte delle relazioni atlantiche e delle tradizionali alleanze tra USA e Unione Europea. Alcuni segnali premonitori si erano già manifestati durante la campagna elettorale e alla vigilia dell’insediamento del 20 gennaio. In un’intervista dai toni sprezzanti alla tedesca “Bild”, Trump aveva riconfermato le sue simpatie per Brexit, attaccato la Germania alla guida dell’Europa e le sue politiche di accoglienza ai migranti e condannata come “obsoleta” l’Alleanza atlantica (NATO). Poche ore dopo gli aveva fatto eco il premier britannico, Theresa May, annunciando posizioni radicali in vista del negoziato per la separazione dall’UE: una coincidenza che non ha stupito più di tanto e che ha indotto a dissotterrare per l’occasione il contestato concetto di “anglosfera”, presunta comunità di culture e interessi raccolti nello spazio geografico anglofono.

Si tratta di opzioni puntualmente riconfermate da Trump in occasione dell’insediamento, nonostante le perplessità di alcuni suoi ministri e di una parte importante dello stesso partito repubblicano. Al grido di “America first” ha già fatto eco quello “Deutschland, Deutschland!” dell’estrema destra tedesca, con l’incipit dell’inno nazionale tedesco che a quell’invocazione aggiunge “ueber alles”, “al di sopra di tutto, al di sopra di tutto il mondo”. Canti e grida simili li sentiremo presto in Francia e Olanda, già irrompono da Ungheria e Polonia: torna il “patriottismo delle nazioni” e per l’Europa non è di buon augurio. Salvo che un soprassalto di orgoglio e di saggezza spinga l’Unione Europea a riaffermare i propri valori e a rilanciare il suo progetto di unità nella diversità.