Don János Brenner

Testimoni del Risorto 21.02.2018

I  suoi 26 anni di vita si intrecciano con la complicata vicenda politica del suo Paese, l’Ungheria, saggiando e mettendo a dura prova la sua determinazione di arrivare ad ogni costo all’ordinazione. Secondo di tre figli diventati tutti preti, respira l’atmosfera di fede convinta che c’è in casa sua e si orienta fin da giovanissimo verso i Cistercensi, dai quali ha frequentato il ginnasio. Dopo la maturità entra nell’abbazia cistercense di Zirc, ma quando il governo comunista sopprime gli ordini religiosi è costretto a proseguire il noviziato in clandestinità, nei vari alloggi privati dove i novizi sono disseminati per non dare nell’occhio alla Polizia, che controlla ogni riunione o movimento sospetto. Ha appena il tempo di professare i primi voti nel 1951 con il nome di fra Anastasio che anche questa situazione clandestina diventa estremamente pericolosa; i superiori lo dirottano così verso il seminario diocesano di Szombathely e, alla chiusura di questo, prosegue gli studi teologici a Gyor. Come Dio vuole può essere ordinato prete il 19 giugno 1955 e subito inizia il suo ministero come viceparroco a Rábakethely. Si immerge nel lavoro pastorale con la freschezza del suo sorriso, la prorompente vitalità dei suoi 25 anni, l’entusiasmo della sua vocazione ben temprata. Ha uno stile di predicazione che coinvolge e attira simpatia, galvanizza i giovani ed entusiasma i bambini; si fa apprezzare e stimare per il suo impegno che non fa distinzione di persone se non per prediligere i più deboli, anziani, poveri e zingari. All’occhiuta Polizia del regime non può sfuggire, anzi non è per niente gradito, il successo di questo giovane prete, specialmente il fascino spirituale che esercita sui giovani, quasi facesse concorrenza al governo. È in sostanza quanto gli viene a sussurrare all’orecchio un commissario governativo, con un malcelato invito a moderare il suo ardore, smorzare i suoi toni, allinearsi insomma alle soporifere indicazioni del partito, per continuare a vivere in pace e non correre alcun rischio. Inutile dire che János da quell’orecchio non ci sente, ben sapendo che dello stile e del contenuto della sua pastorale deve rispondere esclusivamente alla propria coscienza; per questo ripone tutta la sua fiducia soltanto in Dio, come risponde al suo vescovo, che lo vorrebbe mettere al sicuro, magari anche trasferendolo di parrocchia. “Mio zio è moribondo, venga a portargli gli ultimi sacramenti”, gli viene a dire in canonica, nella tarda serata del 14 dicembre 1957, un ragazzo non ancora diciottenne. Il giovanissimo prete, che si sa molto scrupoloso negli impegni del suo ministero, non si fa pregare due volte, anche se la casa da raggiungere è nel vicino paese di Zsida, il tratto da percorrere è lungo e c’è anche da valicare una collinetta. Anzi, il tragitto si fa ancora più lungo e si addentra anche in zone boschive e particolarmente deserte. Poco dopo la mezzanotte scatta l’imboscata e don János è ripetutamente colpito da numerosi fendenti di arma da taglio. È ritrovato da alcuni contadini della zona, ma i soccorsi, subito allertati, altro non possono fare che constatarne la morte, determinata da ben 32 coltellate, mentre ematomi e impronte di scarpe sul corpo rivelano il crudele pestaggio che ha provocato la frattura dell’osso del collo. Nella rigidità della morte la sua mano sinistra ancora difende da ogni profanazione l’ostia consacrata, racchiusa nella teca appesa al collo. Le indagini, abilmente sviate dalle autorità, si indirizzano da subito sugli ambienti più vicini alla vittima, compreso il parroco e i più stretti collaboratori parrocchiali, volendo far credere motivi di gelosia o addirittura passionali. La reazione compatta della gente, che giudica quella morte un martirio causato dall’odio per la fede che don János rappresenta, costringe le autorità ad arrestare e fittiziamente condannare a morte prima un uomo, che alcuni mesi dopo sarà scagionato, poi il ragazzo che aveva fatto da esca, anch’egli giudicato poi del tutto estraneo. Provano anche a disperdere la gente che vorrebbe intervenire al funerale, spostandone ripetutamente l’ora, ma non riescono ad impedire che gli siano tributati gli onori riservati ai martiri. Così ininterrottamente per 60 anni, con la costruzione anche di una cappella sul luogo della morte e con le solenni celebrazioni del 2017, durante i quali e quasi a loro coronamento, da Roma è arrivata la notizia del riconoscimento ufficiale del martirio, che porterà don János Brenner alla beatificazione il prossimo 1° maggio.