Francesco Paolo Gravina

Testimoni del Risorto 03.01.2018

Anche dal fallimento di un matrimonio può nascere un capolavoro di santità. Siamo a fine Settecento, quando, per garantire ad una famiglia la continuità del titolo di principe, una ragazza è anche disposta a sposare lo zio di trent’anni più anziano; da essi nel 1800 nasce Francesco Paolo e la nobile famiglia dei Gravina salva così il titolo di principe di Palagonia e di Lercara Friddi. Il principino, così ardentemente atteso, arriva nel periodo di massimo fulgore della sua dinastia e cresce nella spensieratezza e nell’agiatezza di una delle famiglie siciliane più influenti. Le testimonianze lo dipingono esuberante, affascinante e amante delle feste. Ad appena 19 anni si sposa con una coetanea, che manco a farlo apposta è anch’essa figlia di principe, il che non le impedisce tuttavia, poco dopo il matrimonio, di tradire il marito con un altro giovanissimo principe, abitante in un palazzo distante pochi metri. La tresca prosegue per anni, sotto gli occhi di tutti e con toni sempre più sfacciati, al punto che lei arriva a trascorrere con l’amante buona parte della notte, rincasando solo all’alba e alimentando il gossip della Palermo-bene, anche per la notorietà che circonda tutte le parti in causa. Si può solo immaginare la sofferenza del marito tradito, e solo Dio sa quanto gli costi, dopo aver tentato per dieci anni di salvare il suo matrimonio, ordinare un mattino all’usciere di non aprire il portone di casa alla moglie, al ritorno dalla sua solita scappatella notturna, e di invitarla a tornare da dov’è arrivata. Il principe di Gravina, ferito profondamente, perseguitato dalle malelingue (che in materia di corna trovano sempre terreno fertile), travolto dal disonore e dalla malinconia, si rinchiude in casa e cade in depressione. Così lo pensano davvero fuori di testa, quando un anno dopo lo trovano nei quartieri più poveri di Palermo, a regalar denaro a miseri e senza tetto, anche perché distribuisce senza parsimonia e senza criterio manciate di monete d’oro che attinge dalle sue sporte come da un pozzo senza fondo.  Devono però ricredersi quando, da questa beneficenza un po’ estemporanea e disorganizzata, il principe passa ad una carità meticolosamente oculata. Aderisce al Terz’Ordine Francescano, rifiuta il divorzio dalla moglie, della quale continua ad essere innamorato, e scarta subito l’idea di riformarsi una famiglia per assicurarsi un erede a tutti i costi. Soltanto i poveri saranno eredi delle sue immense proprietà, cioè di palazzi, ville, interi paesi e miniere di zolfo, campi di grano e vigneti e agrumeti e mandrie di animali. In un periodo in cui la povertà è considerata un delitto e i poveri sono messi in carcere per la loro condizione e non per quanto di male da essi compiuto, egli apre le porte del suo palazzo per accogliere i senza tetto, riservando per sé una semplice stanzetta della sua immensa dimora. Nel 1832 e per tre anni è sindaco di Palermo e in tale veste gli è più facile organizzare e gestire la sua lotta alla povertà, pensandola come un’autentica sfida di riscatto sociale. I suoi risultati sembrano davvero accontentare tutti se, al termine del suo mandato, il Comune gli chiede di continuare ad organizzare la beneficenza. Contrasta così la povertà, non solo offrendo ai poveri un temporaneo sollievo, ma puntando a “rifarli uomini” attraverso il lavoro, l’istruzione e la formazione religiosa, cioè restituendo loro dignità e autosufficienza. Nel 1837 affronta l’emergenza del colera, che in poco tempo, miete ben 27 mila vittime: è l’unico a restare sulla breccia con un gruppo di donne, mentre clero e nobiltà si danno precipitosamente alla fuga. Terminata la fase acuta del contagio, per impedire che si disperda il patrimonio di carità eroica delle donne che lo hanno coadiuvato, sceglie tra esse le migliori, con le quali dà vita alle Suore di Carità: sarà, così, uno dei pochissimi laici fondatori di una congregazione di suore. Incredibilmente ancora innamorato della moglie fedifraga e sempre fedele al sacramento del matrimonio, che ritiene indissolubile, vive in uno stato di perenne malinconia. Muore, si può dire, di crepacuore o di “mal d’amore”, a soli 54 anni: nel suo testamento, oltre a spogliarsi di ogni sua proprietà e ricchezza per i poveri e per le suore che li dovranno servire, c’è anche una disposizione per la celebrazione di messe per la moglie, che dopo la sua morte potrà finalmente sposare l’amante. Francesco Paolo Gravina, l’ultimo principe, è stato proclamato venerabile lo scorso 9 ottobre.