Liberato Weiss, Samuele Marzorati e Michele Pio Fasoli

Testimoni del Risorto 02.05.2018

Ci fu un tempo in cui ci si accapigliava e ci si uccideva semplicemente in nome di idee contrastanti sulla persona di Gesù. È quello che succede ancora oggi, anche se sulla base di altre argomentazioni, quando la religiosità autentica cede il passo all’integralismo, al fanatismo e all’intolleranza. Ne abbiamo un esempio nella vita dei frati minori Liberato Weiss, Samuele Marzorati e Michele Pio Fasoli, che nel 1716 coronarono con il martirio la loro testimonianza cristiana e la cui morte non è da imputarsi agli “infedeli” o ai pagani, ma agli stessi fratelli di fede, se pur eretici. Weiss è di origine bavarese, Marzorati varesotto di Biumo Inferiore ed il terzo (il cui cognome è ancora incerto) di Zerbo, in provincia di Pavia: il caso, l’ubbidienza francescana o la Provvidenza li fanno incontrare e li associano in un’impresa che, umanamente parlando, a dir fallimentare è davvero poco. Liberato Weiss, giovane sacerdote ventottenne, nel 1703 si offre come missionario per l’Etiopia, dove c’è bisogno, su esplicita richiesta del re, di sacerdoti cattolici per contrastare la predicazione monofisita, cioè delle chiese che si rifanno ad una eresia vecchia di quasi 1400 anni, e come tale condannata dal Concilio di Calcedonia, in base alla quale in Cristo non ci sarebbero le due nature (umana e divina), ma soltanto quella divina. Liberato si imbarca con sette compagni, ma non mette neppure piede in Etiopia, per via di una insurrezione contro il re che ha chiamato i missionari. Sei anni di viaggio lungo la riva del Nilo, aspettando che la situazione cambi, senza mai raggiungere la meta; dei suoi sette compagni alcuni desistono e ritornano in patria, altri muoiono, e alla fine anche lui, rimasto solo con Michele Pio, ritorna in Egitto. Un anno dopo si  decide di raggiungere l’Etiopia attraverso la via del mar Rosso e a Liberato e Michele Pio si aggiunge Samuele Marzorati. Questa volta la spedizione è più fortunata: partiti il 3 novembre dal Cairo, i tre raggiungono la capitale dell’Etiopia il 20 luglio dell’anno successivo. La situazione politica e religiosa è però sempre turbolenta e devono praticamente vivere in clandestinità: per ordine del nuovo re, che teme disordini: non possono predicare, non possono discutere questioni religiose, neppure possono dichiararsi missionari cattolici mandati da Roma, perché c’è una profonda diffidenza verso i “romani”, e gli europei in genere sono poco graditi. Si limitano così a studiare la lingua del luogo, a curare i malati e a sperare…che dall’Europa si ricordino di loro. I tre, infatti, hanno la sensazione di essere stati dimenticati da Dio e dagli uomini: i soldi da Propaganda Fide arrivano con il contagocce, e comunque in modo insufficiente non solo per acquistare le medicine di cui avrebbero bisogno per curare i malati, ma addirittura per il loro sostentamento. Si aggiustano come possono, Liberato fa l’orefice, ma la situazione è tale da creare anche tensioni fra di loro, soprattutto fra Liberato e Samuele. Odiati di cuore dal popolo, individuati come “missionari di una religione cattiva”, oggetto di calunnie e di false dicerie, praticamente isolati, vengono infine arrestati e processati il 2 marzo 1716. Confessano apertamente di essere missionari cattolici, rifiutano con decisione la circoncisione in cambio della quale avrebbero salva la vita, contestano ai loro accusatori di essere “cristiani di nome e non di fatto”. Inevitabile la loro condanna a morte mediante lapidazione, eseguita il 3 marzo sulle rive del torrente Angareb. È un monaco ad incitare l’avvio della lapidazione, dichiarando “maledetto, scomunicato e nemico della Vergine Maria” chi non tirerà contro di loro almeno cinque pietre. I tre muoiono dopo un intenso abbraccio e la vicendevole assoluzione, testimoni dell’autenticità del Cristo non con la predicazione, ma con il loro sangue. Giovanni Paolo II li ha beatificati a Vienna il 20 novembre 1988.