Papa in Bangladesh chiede perdono a Rohingya per “l’indifferenza del mondo”

Un doppio abbraccio, pubblico e privato, per chiedere perdono ai Rohingya. È il momento culminante del viaggio di Papa Francesco in Bangladesh, già consegnato alla storia

Un Papa che chiede perdono per l’indifferenza del mondo, con un doppio abbraccio, pubblico e privato. È l’istantanea del viaggio in Bangladesh che passerà alla storia. Non solo perché la parola Rohingya, in realtà sempre presente sotto traccia in Myanmar, viene pronunciata apertamente per la prima volta da Francesco nel suo 21° viaggio apostolico internazionale, ma perché diventa il simbolo di tutte le tragedie dei popoli dimenticati dalla storia, di tutte le vittime della “cultura dello scarto”, di ogni tipo di umiliazione della dignità umana. “Dio, oggi, si chiama Rohingya”, dice il Papa nell’abbraccio nascosto alle telecamere. Ed è proprio in quel nascondimento che si comprende fino in fondo che, per lui, Rohingya non è una parola ma un volto, anzi 16 volti incontrati nel giardino dell’arcivescovado di Dacca che rappresentano un popolo e vanno ben al di là del già immenso campo profughi di Cox’s Bazar, oasi di salvezza messa a loro disposizione dal cuore generoso del Bangladesh. “Dio, oggi, si chiama Rohingya”, e da oggi la comunità internazionale non potrà più voltarsi dall’altra parte. Un’altra periferia del mondo, da oggi, è diventata cattedra, grazie all’umile megafono di un Papa... continua a leggere.