Stella Morra, una teologa tra Roma e Fossano

Le opere di misericordia: insegnare agli ignoranti"

Stella Morra, teologa fossanese
Stella Morra (foto Stefano Dal Pozzolo)

Insegna a preti, seminaristi e religiosi all’Università Gregoriana di Roma (“che si sta sempre più qualificando per formare futuri professori e vescovi, la fascia alta ecclesiale”), nel dipartimento di teologia fondamentale, occupandosi di temi inerenti la Chiesa. Lo fa da anni, con passione, competenza e intelligenza, alternando l’insegnamento in cattedra con quella di oratrice tra la gente delle tante parrocchie italiane in cui viene invitata, scrivendo numerosi articoli e libri, rispondendo a moltissime e-mail, e, ovviamente, interagendo attraverso i social. Più che una professione, per Stella Morra la teologia è la sua stessa vita. Fortemente attaccata alle proprie radici “che”, afferma “amo molto e che bisogna ascoltare per star poi bene altrove”, la sua vita oscilla tra Roma e Fossano, “senza la quale”, aggiunge “non sarei quello che sono”. Alla luce della sua lunga esperienza di docente in una Università Pontificia, e delle difficoltà incontrate per arrivarci, abbiamo cercato di capire con lei quali siano gli aspetti che caratterizzano la seconda opera di misericordia spirituale, “insegnare agli ignoranti”.

Chi sono gli ignoranti e cosa si ignora maggiormente oggi nell’ambito religioso?

Capire chi siano gli ignoranti è sempre stato un problema. Il pensiero dell’ignoranza corre alla cultura, ma le sue forme, diverse e diversificate, non sono solo relative ad un’istruzione di base. Per esempio l’accesso agli strumenti digitali, tra i vari paesi nel mondo, è un gap di ignoranza molto radicata, di cui non ci rendiamo conto. Internet infatti non è solo gioco, ma un grande strumento di informazione. Di cui il sapere religioso assume un aspetto particolare. Se da una parte abbiamo, qui in Italia, una tradizione in cui sembra che tutti sappiano qualcosa, (senza contare la simbolica religiosa che ci circonda con piloni, dipinti, chiese …) dall’altra parte i termini religiosi sono diventati una specie di folklore, che non riescono più ad avere quella ricaduta che avevano nel momento in cui sono stati formulati. E rischiano di non significare più niente. Michel de Certeau già negli anni ‘70 affermava la tesi dell’ “opacità del linguaggio religioso”, che, invece di riflettere di un’esperienza, è diventato opaco, e perciò non ti permette di “vedere”. Paradossalmente il sapere religioso, la teologia ufficiale, rischiano di essere un ostacolo alla comprensione dell’esperienza della fede.

Continua a leggere l'intervista su La Fedeltà del 31.08.2016