Il ciclo “Terra e pace”, un’occasione per ricordare e ripensare l’enciclica “Pacem in terris” a 50 anni dalla sua promulgazione, è stato inaugurato il 24 febbraio scorso nella sala polivalente del Castello da una serata di taglio storico (seguiranno il altri due incontri a cui sono invitati il giornalista Domenico Quirico e la teologa Antonietta Potente, per declinare il tema nell’attualità del travaglio che sta vivendo l’altra sponda del Mediterraneo e per tenere conto del legame alla terra come madre). L’evento è organizzato dall’Atrio dei Gentili e dalla Pastorale sociale e del lavoro della diocesi, con il patrocinio del Comune e il contributo economico della Fondazione Crf. Ospite della serata lo storico Alberto Melloni (nella foto a lato), uno dei massimi studiosi italiani del Concilio Vaticano II, direttore della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna e autore di molti testi specialistici e di libri divulgativi.
La teoria della “guerra giusta”
Melloni apre definendo l’enciclica “molto citata, ma poco letta; a volte usata come slogan, anche dai Papi, ma poco conosciuta nella sua interezza”; poi presenta la dottrina del Magistero precedente nei confronti della guerra, che si può riassumere in due posizioni. La prima sostiene che la violenza è connaturata al cuore dell’uomo; nasce così la teoria della “guerra giusta”, che, rifacendosi ad Agostino, tenta di mettere delle “regole” alla guerra ed evitare il peggio (ad esempio nel proporzionare l’esito che vuole ottenere ai mezzi messi in campo, alle modalità di ingaggio, ecc.). Questa idea però entra in crisi nei secoli XVI-XVII con le guerre di religione durante le quali cristiani combattono altri cristiani in nome di Dio. Una seconda posizione, più intransigente, afferma che la guerra viene fatta perché l’uomo ha abbandonato le parole e la guida della Chiesa.
Saranno i due conflitti mondiali a mostrare la crudeltà della guerra in proporzioni inaudite. Benedetto XV nell’agosto 1917 coniò la formula della ‘inutile strage’, che ebbe moltissima fortuna. Durante la Seconda guerra mondiale, invece, la controversa figura di Pio XII faticherà a schierarsi verso un fronte (anche perché quello degli alleati comprendeva la Russia comunista). Infine, la guerra fredda che contrapporrà nuovamente l’Occidente al blocco sovietico, con l’equilibrio del terrore e la minaccia atomica.
Il contesto: la crisi di Cuba
È in questo contesto che si inserisce il pontificato di Roncalli: il Papa, dopo aver messo in moto il Concilio l’11 ottobre 1962, cinque giorni dopo si trova ad assistere alla crisi di Cuba, quando un consigliere militare presenta al presidente Kennedy le prove fotografiche di rampe di cemento in costruzione a Cuba per ospitare testate atomiche. Individuato un convoglio di navi sovietiche nell’Atlantico che si dirige verso l’isola caraibica, Kennedy impone il blocco navale ed innesca un terribile braccio di ferro con il presidente Kruscev. Il Papa, da fine diplomatico, capisce prontamente che le potenze si sono infilate in un vicolo cieco, da cui nessuna delle due potrà indietreggiare senza perdere la faccia. “Il Papa allora stupisce il mondo mandando un telegramma ad entrambi i capi di Stato, non a nome del magistero cattolico, ma a nome delle famiglie dei rispettivi popoli che chiedono a gran voce la pace. Decide di parlare ai capi dei popoli con la voce dei loro stessi popoli. L’atto del papa ha un impatto mediatico immediato e, benché non riconosciuto ufficialmente né da Kennedy, né da Kruscev, nei fatti offre una via d’uscita con onore per entrambi”.
L’enciclica nasce nei giorni immediatamente successivi, quando il Papa sa già di essere malato e del poco tempo che gli resterà da vivere, e in poche settimane prende forma la prima stesura.
I “segni dei tempi”
L’enciclica adotta una categoria molto potente e fortunata, quella dei “segni dei tempi”: “Un’espressione che non va interpretata come attenzione della Chiesa alle mode - spiega Melloni -, ma come capacità di scrutare gli eventi esterni che possono aiutarla a ‘ri-comprendere’ meglio se stessa alla luce del Vangelo. Insomma a progredire, nel capire con maggiore profondità delle verità dimenticate”. Poi, essa cita alcune tematiche molto innovative per il 1963: l’emancipazione della donna, la spinta delle giovani generazioni, l’aspirazione alla pace e l’attenzione verso i poveri. Inoltre, viene dichiarata in modo chiaro la piena dignità di diritti e doveri della donna nella famiglia e, infine, che non si possono mettere sullo stesso piano le ideologie e i movimenti che si ispirano ad esse, volendo scindere il piano delle persone (con cui sempre dialogare) da quello delle idee (che possono essere in errore e quindi da condannare). In chiusura due punti specifici: “Con l’atomica non può esistere una guerra giusta e il tentativo di comprendere i giovani che si rifiutano di fare la guerra, cioè gli obiettori di coscienza”.
Incredibile quanti temi innovativi siano citati “e molti di essi sono affrontati in un modo che sembra contrastare con il Magistero recente o con la tradizione precedente”.
La genesi del testo
Il testo iniziale, come da prassi, viene sottoposto dal Papa al parere di due esperti, un domenicano e un gesuita: “Il primo chiede di eliminare la parte sulla donna perché in netto contrasto con il Magistero, che vedeva nella sottomissione della donna un elemento da riprendere e riproporre ad ogni livello nella Chiesa gerarchica, governata da Dio. Il secondo, invece, apprezza la condanna della guerra giusta, ma chiede di eliminare la parte sull’obiezione di coscienza”. Il Papa accetta questo secondo consiglio, ma rifiuta il primo: “E dire che si era a pochi mesi dalla lettera ai cappellani militari di don Lorenzo Milani e dalla promozione dell’obiezione di coscienza come elemento profetico”.
L’enciclica è terminata e viene pubblicata in occasione della Pasqua nell’aprile 1963. Appena promulgata, solleva grande scalpore, sia per il tono universalistico che per i destinatari, essendo rivolta “a tutti gli uomini di buona volontà”. Il Papa muore il 3 giugno, a pochi giorni di distanza. Il Concilio proseguirà il suo faticoso cammino sotto il nuovo Papa Paolo VI che però, stranamente, non citerà molto la “Pacem in terris” (a parte in “Gaudium et spes” per condannare la guerra, definita ‘totale’). Ma lo stesso Pontefice prima della conclusione del Concilio, condannerà la guerra, nel suo discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965.
Quel che rimane
“Nel periodo successivo e negli anni recenti si faranno strada nuove posizioni dei Papi nei confronti della guerra: come quella che sostiene la liceità dell’ingerenza umanitaria, fatta valere durante le guerre dei Balcani e in Rwanda, o il sostegno all’obiezione di coscienza. Ma si assisterà anche ad una progressiva minimizzazione della ‘Pacem in terris’, per recuperare la nozione di guerra giusta. Dell’enciclica resta oggi la grande e feconda eredità rappresentata dalla categoria dei «segni dei tempi»”.
La relazione è stata accompagnata da un momento di confronto, con domande di approfondimento circa l’accoglienza da parte del Concilio, il rapporto tra l’enciclica e l’allora neo-nata giornata della Pace (istituita da Paolo VI il 1° gennaio del 1968), il rapporto con i movimenti pacifisti.
La serata dunque, a parte la scarsa partecipazione (vedi scheda “Una domanda...”), si è dimostrata un’interessante occasione non solo per riprendere in mano una importante pagina del passato, ma anche in rapporto alle crisi e alle guerre che ci attanagliano, al ruolo che la Chiesa, ma soprattutto i cristiani, possono giocare in esse, alle novità feconde che la rendono attuale a cinquant’anni di distanza.
Chiesa e guerra: la svolta della “Pacem in terris”
“Terra e pace”, un’occasione per ricordare e ripensare l’enciclica “Pacem in terris” a 50 anni dalla sua promulgazione.