“Papa Francesco segue gli eventi che si stanno susseguendo in Iraq e nella zona di Mosul. Viene informato costantemente. Da tutto il mondo ci giungono telefonate di sostegno, di preghiera e di solidarietà per la popolazione che soffre”. Dalla Nunziatura apostolica in Iraq, situata a Baghdad, ci tengono a far sapere della vicinanza del Pontefice alla sofferenza delle popolazioni di Mosul, seconda città del Paese, conquistata dai miliziani dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (Isil), la fazione jihadista attiva anche nel conflitto siriano. Si calcola che siano oltre 500mila gli sfollati, Mosul si sta svuotando di ora in ora. La gente, secondo quanto riferiscono agenzie umanitarie presenti sul territorio come “Un ponte per”, sta fuggendo in qualsiasi modo, in macchina, a piedi, in autobus, sui carri, portandosi dietro spesso soltanto lo stretto necessario. E d’istinto si riversa verso il Kurdistan iracheno, considerato area più sicura, ma dove risiedono già circa 220mila siriani in fuga dalla guerra nel loro Paese.
Popolazione in fuga. L’11 giugno sono state 1.000 le persone che ogni ora hanno attraversato i checkpoint verso Erbil. Il giorno prima, il 10 giugno, almeno in 100mila sono riusciti a entrare nell’area del capoluogo curdo. Più a Nord, nelle stesse ore, gli iracheni che hanno raggiunto la provincia del Kurdistan iracheno di Dohuk sono stati almeno il doppio: 200mila. “Stiamo raccogliendo testimonianze da persone rimaste in città e anche sfollate - riferiscono ancora dalla Nunziatura apostolica - queste ultime sono uscite a piedi da Mosul sotto il caldo per raggiungere a fatica i villaggi circostanti. Le agenzie umanitarie come quelle per i rifugiati delle Nazioni Unite stanno monitorando con attenzione l’evolversi della vicenda e si stanno adoperando per dare supporto e aiuto alle famiglie stremate e impaurite. I cristiani, circa 1.200 famiglie, si trovano soprattutto a Kramles, Karakosh, Bashiqa e Tilkif. Con loro ci sono anche tantissimi musulmani”. Per chi è rimasto in città le notizie parlano di “situazione, almeno in apparenza calma. I ribelli sembrano voler mostrare un volto benevolo nei confronti degli abitanti. Non si registrano scontri a fuoco e gli occupanti mantengono una certa pace”. Ci sarebbero anche nuclei che rientrano a Mosul, circa 4mila famiglie, secondo “Un ponte per”, anche nella parte occidentale (200 famiglie) sotto il totale controllo dell’Isil. Solo le minoranze cristiane e yazide non rientrano per paura di essere perseguitate. Come affermato dall’arcivescovo di Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona, “in città le Chiese sono tutte chiuse. Qualcuna presa di mira da sciacalli è stata difesa da famiglie musulmane residenti nei dintorni che hanno chiesto pure l’intervento delle milizie islamiste”.
Baghdad, gente terrorizzata. “Uno scontro armato tra miliziani dell’Isil ed esercito regolare iracheno, tuttavia, è prevedibile - dicono dalla Nunziatura - stando alle dichiarazioni del premier al Maliki che ha ribadito di voler riconquistare la città. Uno scontro violento - che sarebbe molto esteso - non farà che peggiorare le condizioni di vita della popolazione. Ora si dice che i ribelli stiano avanzando verso Baghdad ma la reazione dell’esercito li ha ricacciati indietro da Kirkuk e da Tikrit. Nella capitale si percepisce la preoccupazione nei volti delle persone. Nessuno vuole più violenza qui, i problemi da risolvere sono tanti e la guerra non farebbe che aggravarli”. Percezione confermata anche dall’arcivescovo latino di Baghdad, monsignor Jean Benjamin Sleiman, che parla di “gente terrorizzata nella Capitale. La paura è alimentata anche da tante notizie false che circolano, l’ultima è stata quella - rivelatasi poi infondata - del coprifuoco decretato dal ministro dell’Interno. In questo modo si genera solo confusione che è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Tuttavia non credo che la capitale corra molti rischi anche perché i miliziani hanno preso città dove i sunniti sono largamente presenti. Qui abbiamo urgenza di ricostruire il Paese, nelle sue infrastrutture, nei suoi servizi basilari come sanità e istruzione e soprattutto nelle diverse anime”. Ma il pensiero dell’arcivescovo latino va oltre il momento presente: “Quello che sta avvenendo oggi è una minaccia per l’Iraq, ma potrebbe presto diventarla per tutta la regione e quindi per il mondo. Non siamo davanti a un semplice conflitto ma al rischio di una destabilizzazione la cui colpa non è solo degli iracheni ma dei Paesi internazionali. Gli interessi dell’Occidente sono sempre bagnati dal sangue di altri. Le popolazioni sono più importanti del gas, del petrolio, delle risorse energetiche o della vendita di armi. Papa Francesco lo ripete spesso. Ciò che sta accadendo non può spiegarsi senza fare riferimenti alla guerra nella vicina Siria”. Chiaro il rimando al progetto di califfato che i miliziani dell’Isil perseguono. Un’idea che, per mons. Sleiman, “si sta concretizzando in un territorio che prende pezzi della Siria, dell’Iraq e magari vedremo anche della Giordania e di altri Paesi. Ciò è pericoloso per tutti”.