“La fede c’entra moltissimo con il mio modo di vivere il dolore. La mia reazione è nata anche da una spiritualità che probabilmente era già in me ed è venuta allo scoperto”. Lucia Annibali, martedì sera a Vigevano per un incontro dedicato alla violenza sulle donne organizzato da cooperativa Kore “Spazio antiviolenza - donna tutto per te”, spiega con la fede cristiana la sua capacità di ricominciare dopo essere stata sfigurata con l’acido la sera del 16 aprile 2013. La giovane pesarese ha rievocato l’anno più intenso della sua esistenza, cominciato con l’aggressione commissionata dal suo ex fidanzato Luca Varani, anch’egli avvocato e condannato in primo grado a 20 anni di reclusione lo scorso 29 marzo.
“Abbiamo avuto una storia”. La storia di Lucia Annibali è iniziata con quello che nelle pagine di cronaca nera è solitamente un “tragico epilogo”. Stesa sul pianerottolo di casa, la vista annebbiata e il volto sfigurato dall’acido lanciato da uno dei due aggressori ingaggiati dal suo ex, l’avvocatessa sin dal primo momento ha trovato la forza per rifiutare il ruolo della vittima predestinata. “È stato lui. Si chiama Luca Varani, è un avvocato. Abbiamo avuto una storia”. Con queste parole Annibali ha saputo riappropriarsi del diritto di ogni persona di disporre della propria esistenza. “Paradossalmente - ha spiegato - l’acido è stato una liberazione, perché fino a quel momento avevo vissuto nella paura. Quella sera la possibilità che questo ‘uomo vampiro’ mi facesse male si è concretizzata e mi sono imposta questa reazione, questa consapevolezza che prima non avevo e che mi ha reso vulnerabile a una storia di ‘non amore’, l’opposto di quello che dovrebbe essere una storia d’amore”.
Dolore, fede e famiglia. Il percorso affrontato dalla giovane donna (ben undici interventi chirurgici), ha avuto come punti cardinali l’accettazione del dolore, la fede, la famiglia. “Un ustionato prova tanto dolore per guarire - ha raccontato - un dolore fisico quotidiano e prolungato. Ci sono stati dei momenti in cui non riuscivo a capire perché dovevo soffrire tanto. Durante l’intervento alle palpebre per una settimana mi sono chiesta il senso del dolore, ma poi ho trovato una mia risposta nella vicinanza del chirurgo, sempre accanto a me, e nella visita di un bambino che, nell’oscurità in cui ero immersa a causa dell’operazione, mi ha preso per mano. In questi due passaggi ho potuto sperimentare l’umanità, l’incontro”. Rileggendo il dolore alla luce della fede: “Penso - ha riflettuto - che il mio essere sopravvissuta in qualche modo abbia un significato e corrisponda a un progetto. Anche per questo non sono arrabbiata con la vita e ho accettato il dolore perché credo che possa essere utile a me stessa e agli altri”. La forza con cui Lucia ha risposto alla violenza è fondata anche sulla presenza della famiglia, perché “i miei genitori, mio fratello, hanno sofferto tantissimo, mi hanno aiutato stando con me ogni giorno, loro come mia cognata, i parenti, gli amici. Ho cercato di essere forte anche per loro, perché non fossero travolti da questo dolore. Ci siamo aiutati a vicenda moltissimo”.
Importante denunciare. Un supporto ulteriore, altrettanto prezioso, è giunto dal legale Francesco Coli, determinato quanto la sua assistita. “La prima cosa che le ho chiesto - ha dichiarato Coli durante la serata - è stata ‘perché non l’hai denunciato prima?’. In questi casi frenano due tipi di atteggiamento: il timore di una ritorsione e quello di rovinare l’altra persona. Invece denunciare è importantissimo e il caso di Lucia ne è un caso lampante: Varani si è servito di bassa manovalanza criminale, un sostrato nel quale si muovono anche fonti confidenziali, che nel suo caso avevano informato le forze dell’ordine di un avvocato che voleva sfregiare una persona con l’acido. Se lei avesse fatto denuncia il riscontro sarebbe stato immediato e non le sarebbe successo niente. La denuncia è un passo emotivamente difficile, ma bisogna rassegnarsi a compierlo”.
Non sono arrabbiata con la vita…
Sfigurata con l'acido da due sicari mandati dal suo ex fidanzato, la giovane donna spiega cosa l'ha spinta a resistere e a non lasciarsi andare: "Penso che il mio essere sopravvissuta in qualche modo abbia un significato". Il percorso affrontato (ben undici interventi chirurgici), ha avuto come punti cardinali l'accettazione del dolore, la fede cristiana e la famiglia