“Questi uomini, i mafiosi, non sono in comunione con Dio, sono scomunicati”. Dalla Piana di Sibari, davanti a una folla sterminata - oltre 250mila persone - accorse da tutta la Regione, il Papa lancia il suo forte e accorato anatema. Da oggi, passerà alla storia per essere stato il primo Pontefice ad aver scomunicato i mafiosi. Ventuno anni dopo, le parole di Francesco riecheggiano quelle pronunciate da Giovanni Paolo II, il Papa polacco da lui proclamato santo: “Convertitevi, verrà il giudizio di Dio”, aveva detto ai mafiosi. Esattamente tre mesi fa, nella parrocchia romana di san Gregorio VII, altre parole a braccio come quelle odierne erano state indirizzate ai mafiosi, al termine della veglia di preghiera per le vittime di tutte le mafie promossa dall’Associazione “Libera” di don Ciotti, con il quale Francesco aveva fatto il suo ingresso in chiesa mano nella mano, dopo un caloroso abbraccio: “Per favore, cambiate vita! Convertitevi, fermatevi di fare il male!”. “Convertitevi, ve lo chiedo in ginocchio, per il vostro bene!”. “Avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro!”. Un imperativo perentorio, ripetuto per tre volte. L’attenzione agli “ultimi della fila” ha caratterizzato tutte le altre tappe del viaggio: la visita ai malati dell’hospice “San Giuseppe Moscati” e agli anziani di Casa Serena, il pranzo con i poveri della Caritas e con i giovani della comunità residenziale terapeutico-riabilitativa Saman. Sulla strada per Sibari, la sosta davanti alla parrocchia di San Giuseppe, dove il 3 marzo è stato ucciso padre Lazzaro Longobardi. L’altro discorso della giornata (oltre all’omelia) il Papa l’ha tenuto nella cattedrale di Cassano all’Jonio, dove erano presenti i sacerdoti e gli 11 vescovi della Regione, prima di rispondere alle loro domande.
Luci e ombre
Le parole inedite e già storiche di Papa Francesco, che ha scelto per pronunciarle il suo quarto viaggio pastorale in Italia, hanno fatto eco a quelle, altrettanto nette, pronunciate poco prima da monsignor Nunzio Galantino, vescovo di Cassano all’Jonio e segretario generale della Cei, nel suo indirizzo di saluto al Santo Padre: “La ‘ndrangheta non si nutre solo di soldi e di malaffare, ma anche di coscienze addormentate e perciò conniventi”. Tracciando il ritratto di una Chiesa “fortemente incarnata nel suo territorio, e che in questo territorio vive con le sue luci e anche le sue ombre”, il presule ha parlato della “fatica che gli uomini e le donne fanno in questa parte d’Italia”, e che è acuita anche dalla “malavita organizzata”, che “rallenta il processo di crescita, non solo economica”. “Qui trova la Chiesa calabrese - ha assicurato mons. Galantino al Papa - disposta a impegnarsi a risvegliare le coscienze, a educare alla vita buona del Vangelo”. Un altro grido, sussurrato come è nello stile di Francesco, aveva dato inizio alla trasferta papale in terra di Calabria: “Mai più vittime della ‘ndrangheta”, ha detto il Papa dopo aver salutato, uno per uno, i 180 detenuti del carcere di Castrovillari, prima tappa di questa intensa giornata, durante la quale ha voluto incontrare il papà e le due nonne di Cocò Campolongo, il bambino di tre anni ucciso pochi mesi fa in un agguato di mafia. “Mai più succeda che un bambino debba avere queste sofferenze”, le parole del Papa, sempre a braccio: “Non deve mai succedere una cosa del genere nella società”.
“Maestro di reinserimento”
Incontrando i 180 reclusi del carcere, uomini e donne, il Papa ha tenuto il suo primo discorso concludendolo con un’altra aggiunta fuori testo: “Pregate per me, perché anche io sbaglio, anche io ho bisogno di perdono”. A Castrovillari, in un incontro commovente in cui ha voluto essere vicino “ad ogni uomo e ad ogni donna che si trova in carcere, in ogni parte del mondo”, il Papa ha esortato a coniugare il “rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo” e “l’effettivo reinserimento nella società”. “Quando questa finalità viene trascurata - ha ammonito Francesco - l’esecuzione della pena degrada a uno strumento di sola punizione e ritorsione sociale, a sua volta dannoso per l’individuo e per la società”. “Il Signore è un maestro di reinserimento”, ha assicurato: “Ci prende per mano e ci riporta nella comunità sociale”. E poi, ancora a braccio: “Dio mai condanna, mai perdona soltanto: perdona e accompagna”.
Né “impiegati”, né “schermi”, ma “canali”
È l’identikit del prete, tracciato dal Papa incontrando i sacerdoti nella cattedrale di Cassano. “Reagire” alla “cultura soggettivistica” e all’“individualismo pastorale” con la “scelta della fraternità”, l’imperativo, come antidoto “a un certo individualismo pastorale purtroppo diffuso nelle nostre diocesi”. Poi l’incoraggiamento a lavorare “con le famiglie e per le famiglie”, in “un tempo difficile sia per la famiglia come istituzione, sia per le famiglie, a causa della crisi”.
“Non lasciatevi rubare la speranza!”
Con questo invito, rivolto prima ai giovani e poi esteso a “tutti”, il Papa ha concluso l’omelia della Messa nella piana di Sibari, nella quale ha incoraggiato “tutti a testimoniare la solidarietà concreta con i fratelli, specialmente quelli che hanno più bisogno di giustizia, di speranza, di tenerezza”. “Favorire stili di vita e iniziative che pongano al centro le necessità dei poveri e degli ultimi”, l’altro invito, rivolto ai pastori e ai fedeli della Chiesa di Calabria, ma anche “alle autorità civili che cercano di vivere l’impegno politico e amministrativo per quello che è, un servizio al bene comune”. I giovani che affollavano la piana di Sibari hanno risposto con uno striscione, spiritoso come si conviene alla loro età: “Noi preghiamo, e un selfie vogliamo”.