Gaza, dopo 800 morti forse una tregua

La tregua umanitaria proposta dal segretario di Stato americano John Kerry. Ma la battaglia continua. Il racconto di Issa Tarazi, coordinatore del "Vocational Training Center", promosso dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente: "La situazione è sempre più critica. Molte case sono state demolite, si registrano numerosi feriti"

“Vogliamo solo la pace e giustizia. Il mondo s’impegni perché si raggiunga la fine delle ostilità. Qui si muore ogni giorno. Basta!”: è il grido di Issa Tarazi, coordinatore del “Vocational training center”, promosso dal Consiglio delle Chiese del Medio Oriente, che si trova a Gaza City. Alza la voce il coordinatore mentre da Gaza è al telefono con il Sir, quasi a voler far ascoltare a quanta più gente possibile il disperato bisogno di una tregua, di un cessate-il-fuoco che le diplomazie internazionali stanno trattando in queste ore, mediando tra Israele e Hamas. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, non risparmia sforzi e l’annuncio del cessate-il-fuoco potrebbe essere imminente. Siamo al 18° giorno di combattimenti, e le vittime palestinesi sono oltre 800, in gran parte civili, e 33 quelle israeliane. Drammatica la conta dei bambini morti, uno ogni ora, secondo Oxfam Italia. Numeri che hanno spinto l’arcivescovo Silvano Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio Onu a Ginevra, nel suo intervento del 23 luglio, alla XXI sessione speciale del Consiglio per i diritti umani dedicata ai diritti umani nei territori occupati palestinesi, compresa Gerusalemme Est, a parlare di “coscienze paralizzate da un clima di prolungata violenza che cerca di imporre una soluzione attraverso l’annientamento dell’altro. Il peggioramento della situazione a Gaza ci ricorda quanto sia necessario arrivare a un cessate-il-fuoco immediato e dare inizio a negoziati per una pace duratura”.

Nonostante le voci di un accordo di tregua, le brigate Ezzedin al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno lanciato venerdì tre missili a lunga gittata verso l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv. La bozza di accordo dovrebbe prevedere una settimana di stop ai combattimenti, che comincerebbe nel fine-settimana. Durante la tregua temporanea, l’esercito israeliano rimarrebbe all’interno della Striscia di Gaza, per continuare a localizzare e distruggere i tunnel. E durante il cessate-il-fuoco, Israele e Hamas dovrebbero sedersi a un tavolo negoziale per definire un’ipotesi d’intesa più ampia.

Il tempo passa e Tarazi è preoccupato per la sorte dei suoi giovani, quelli che frequentano abitualmente il laboratorio. “Hanno tutti dai 14 anni in su e al Centro si preparano a diventare le maestranze del domani, falegnami, elettricisti, meccanici. “Attraverso l’insegnamento e l’avviamento al lavoro - spiega il coordinatore - riusciamo a offrire loro qualche prospettiva. Molti provengono da famiglie povere e, per questo, non hanno potuto studiare. Insegnare un mestiere è il modo migliore per renderli capaci di costruirsi un futuro anche dentro Gaza”. Speranze infrante dai bombardamenti israeliani e dai razzi di Hamas. Gaza sembra avere solo un futuro di guerra e distruzione che non si ferma nemmeno davanti alle scuole. Quella distrutta giovedì, la quarta negli ultimi quattro giorni, a Beit Hanun, nel Nord della Striscia, apparteneva all’Unrwa (l’ente dell’Onu per i profughi) e vi avevano trovato riparo numerosi sfollati. Almeno 17 i morti (alcuni dei quali bambini), mentre sono 150 i feriti: nella struttura erano ospitate centinaia di persone che avevano cercato riparo dai combattimenti nell’area. “La situazione è sempre più critica. I bombardamenti continuano a Gaza City e al confine orientale della Striscia, da Sud a Nord. Molte case sono state demolite, si registrano numerosi feriti, soprattutto tra donne, anziani e bambini”, racconta Tarazi, che ancora non riesce a contattare nessuno dei suoi giovani apprendisti e teme anche per la sede che, dice, “potrebbe essere stata seriamente danneggiata dalle bombe. Purtroppo muoversi per fare una verifica di eventuali danni è pericoloso”. Ma la volontà di andare avanti resiste anche sotto le bombe, in condizioni di grande emergenza: “Abbiamo energia elettrica per una o due ore al giorno, non abbiamo internet. Tuttavia riusciamo ancora a trovare del cibo. Bisogna pensare alle migliaia di sfollati che hanno trovato rifugio nelle scuole in diverse zone della Striscia”. Derrate alimentari sono fornite dalle organizzazioni internazionali e in parte dal Governo. Ognuno cerca di dare il proprio aiuto. Anche la piccola comunità cristiana gazawa. “Come cristiani contribuiamo a fornire aiuto umanitario per quanto anche noi soffriamo, come tutti, della gravità della situazione. Abbiamo aperto le nostre scuole e le nostre chiese per offrire accoglienza agli sfollati che hanno abbandonato le loro case o che le hanno viste distrutte dagli scontri armati”. Con una speranza: “Che un giorno Gaza torni a vivere libera insieme ai suoi abitanti. Con questa consapevolezza affrontiamo i drammi di ogni giorno”.