Mano tesa di Papa Francesco a tutti quei Paesi con i quali la Santa Sede non intrattiene relazioni diplomatiche. Parlando ai vescovi asiatici, il Papa ha affrontato un tema spinoso che sta particolarmente a cuore alla Chiesa, soprattutto in questa parte del mondo. È la questione della vita dei cristiani in Paesi come la Cina e la Corea del Nord. Papa Francesco ne ha parlato in Corea in un contesto assolutamente non politico e in termini di speranza più che di rivendicazione. Così il Papa si è espresso: “In tale spirito di apertura agli altri, spero fermamente che i Paesi del vostro Continente con i quali la Santa Sede non ha ancora una relazione piena non esiteranno a promuovere un dialogo a beneficio di tutti”. Un’affermazione importante che è stata sottolineata ai giornalisti anche da padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana. In Asia gli Stati che non hanno relazioni diplomatiche sono Cina, Corea del Nord, Vietnam, Myanmar, Laos, Regno di Bhutan e Brunei. Aggiungendo a braccio, rispetto al testo preparato, Papa Francesco ha detto: “I cristiani non vengono come conquistatori, non vengono a toglierci la nostra identità. Ci portano la loro, ma vogliono camminare con noi”. Poi “il Signore farà la grazia, qualcuno chiederà il battesimo, qualcun altro no, ma sempre camminiamo insieme”.
Ad ascoltare il Papa una novantina di vescovi. L’incontro si è svolto nel santuario di Haemi, a un’ora e mezza da Seoul. Presenti tutti i presidenti delle Conferenze episcopali dell’Asia ed alcuni vescovi responsabili delle pastorali giovanili che hanno accompagnato i giovani alla VI Giornata della gioventù asiatica. Sono i volti e le anime di questo immenso continente dove vive il 60% della popolazione mondiale. Terra centrale per il futuro del mondo e della Chiesa. Padre Lombardi ha confidato ai giornalisti che Francesco è rimasto molto colpito dalla testimonianza dei martiri coreani ed ha fatto immediatamente riferimento alle migliaia di persone nel mondo che a causa della fede sono perseguitate e di cui neanche si conosce il nome. Forte è stato l’impatto che sul Papa hanno avuto anche le parole della ragazza cambogiana che a Daejeon aveva chiesto a Francesco di riconoscere santi i martiri cambogiani durante il periodo del regime di Pol pot.
Asia. A questo continente - con la sua storia, la sua vasta estensione di terre, le sue antiche culture e tradizioni religiose - il Papa ha indicato come strada e vocazione la cultura del dialogo che è possibile - ha detto - solo se parte dalla consapevolezza della propria identità ed è capace di empatia. Non è compito facile barcamenarsi tra la coscienza di sapere “ciò che siamo” e l’apertura di mente e di cuore “per accettare individui e culture”. E il Papa ha individuato tre errori comuni: “L’abbaglio ingannevole del relativismo, che oscura lo splendore della verità”; la superficialità ovvero “la tendenza a giocherellare con le cose di moda”; e infine “l’apparente sicurezza di nascondersi dietro risposte facili, frasi fatte, leggi e regolamenti”. In questo difficile percorso verso se stessi e verso l’altro la parola chiave è: “empatia”. È quella capacità - ha spiegato - di “non limitarci ad ascoltare le parole che gli altri pronunciano, ma di cogliere la comunicazione non detta delle loro esperienze, speranze e aspirazioni, delle loro difficoltà e di ciò che sta loro più a cuore”.
“Ma fratello Papa, se faccio così non si converte nessuno!”, ha detto ancora Francesco, dando voce a una possibile obiezione. Ed ha quindi ricordato: “Non devo portare l’altro a me stesso. Papa Benedetto XVI ci ha detto chiaramente che la Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”. È la risposta che attende oggi l’Asia perché da un dialogo condotto così, non c’è nulla da temere e tutto da guadagnare.
* inviata Sir in Corea