Mons. Giorgio Lingua dall’Iraq: “L’aggressore va fermato”

Il Nunzio apostolico di origine fossanese, che ha accompagnato il cardinale Fernando Filoni inviato del Papa nei giorni scorsi, racconta la drammatica situazione degli sfollati

Papa Francesco ha ricevuto giovedì scorso il cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, rientrato mercoledì 20 agosto a Roma dopo la sua missione in Iraq quale suo inviato personale. Il porporato è rimasto oltre una settimana nel Paese per portare la solidarietà concreta del Papa agli sfollati iracheni (tra cui molti cristiani), cacciati dalle loro case dalla violenza jihadista del proclamato “califfato dell’Isis”. Al suo fianco, durante la visita, c’era mons. Giorgio Lingua, fossanese, Nunzio apostolico in Iraq e Giordania, più volte “ospite” su queste pagine (nella foto Giorgio Lingua è con mons. Shlemon Warduni, presidente di Caritas Iraq, all'interno della Nunziatura a Baghdad).

Mons. Lingua, lei lo ha accompagnato nella visita e si è reso conto di persona della situazione. Possiamo quantificare quanti sono gli sfollati giunti nelle città del Kurdistan iracheno? In particolare, quanti sono i cristiani?

Il portavoce dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), Adrian Edwards, ha dato la cifra di 700.000 iracheni rifugiatisi in Kurdistan. Di questi circa 120.000 sono cristiani. A tale cifra vanno aggiunti i circa 200.000 già arrivati in precedenza dalla Siria. Nel quartiere cristiano di Erbil, Ankawa, che aveva 5.000 cristiani nel 2003 ed è passata in 10 anni agli attuali 30.000, sono state registrate oltre 7.000 famiglie cristiane, cioè tra i 30 e i 35.000 nuovi individui. Solo nei locali dell’arcivescovado sono ammassate da oltre 2 settimane, più di 1.200 persone.

In che condizioni vivono? Sono arrivati gli aiuti umanitari inviati dalla Caritas e dalle organizzazioni internazionali (Unicef, ecc.)...

Si può immaginare come può essere la vita di chi ha abbandonato tutto e vive all’addiaccio! I cristiani hanno cercato rifugio in altri villaggi cristiani o in città con una buona percentuale di cristiani. Le parrocchie si danno da fare e le organizzazioni umanitarie che portano aiuti trovano in esse una buona rete per la distribuzione degli stessi. I problemi maggiori sono per chi si è accampato alla bell’e meglio nelle campagne...

Il resto della lunga intervista su La Fedeltà in edicola mercoledì 27 agosto.