Suor Giuseppina Nicoli

 Testimoni del Risorto 24.12.2014

Per chiamarla “pan di burro”, a casa, a scuola e tra gli amici, un motivo devono averlo: tutti ammirano la sua dolcezza, la sua gentilezza, la sua predisposizione ad aiutare gli altri. Sono le stesse doti che trova in lei don Prinetti, animatore della carità a Voghera, che al momento buono le consiglia di entrare tra le “suore cappellone”, cioè le Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli, chiamate così per via del loro copricapo bianco, a larghe tese spioventi, rigidamente inamidate. Devono avere, come specificava il Fondatore, “per monastero la casa dei malati, per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa della parrocchia, per chiostro le vie della città e le sale degli ospedali, per clausura l’obbedienza, per grata il timor di Dio, e per velo la modestia”: per questo le ritiene adatte alla spiritualità e, soprattutto, alla dirompente carità di questa ragazza di vent’anni, di buona famiglia (il papà è pretore, il nonno materno avvocato), cresciuta insieme ad altri nove fratelli e sorelle. Dopo il noviziato nella Casa torinese di San Salvario la mandano a Cagliari, dove giunge il 1° gennaio 1885: il suo incarico “ufficiale” è l’insegnamento nel Conservatorio della Provvidenza, ma da subito non le basta. Già l’anno dopo la città deve fare i conti con il colera e lei è in prima fila ad assistere i malati ed a portar conforto alle famiglie più povere della città, di cui scopre le piaghe più nascoste, in primo luogo l’analfabetismo, che combatte radunando i bambini e cercando di insegnar loro a leggere, scrivere e magari anche a diventar più buoni. Intanto la sua salute comincia a far capricci con il primo sbocco di sangue, che denuncia l’inizio della tubercolosi: non la farà morire, semplicemente la consumerà nei successivi 30 anni. Dopo 15 anni la vogliono a Sassari, come Suor Servente (cioè superiora) dell’orfanotrofio e qui trova il tempo per mettere in piedi una vorticosa attività di catechesi domenicale che raduna anche 800 bambini e che si affianca all’attività per i Figli di Maria e le Figlie di Maria, per i malati bisognosi, per le domestiche e per le carcerate. Nel 1910 la richiamano a Torino come economa provinciale e direttrice del Noviziato, ma dopo appena tre anni devono in gran fretta riportarla in Sardegna perché i suoi bronchi malati hanno bisogno di un clima più mite di quello piemontese. Rientrata a Sassari deve fare i conti con il clima anticlericale e massone che si sta diffondendo in città e che le procurerà tanti dispiaceri: incomprensioni, malignità, false accuse obbligano la congregazione a trasferirla a Cagliari, al quartiere Marina, la zona dei bassifondi e della malavita, della povertà diffusa e dell’ignoranza dilagante, dove la carità di una suora ha solo l’imbarazzo di scegliere da dove iniziare. “Quando amiamo, nulla ci pesa, anche una piccola cosa fatta per amore ha grande valore agli occhi di Dio”, ripete a tutti e intanto si prende a cuore i ragazzi senza famiglia che popolano il quartiere, “is piccioccus de crobi” (i ragazzi della cesta): sono ragazzi di strada, che vivono di espedienti, perlopiù trasportando nelle loro ceste i bagagli o le compere dei signori; di notte dormono all’addiaccio, avvolti in pezzi di giornali. Li chiama i “Marianelli”, ossia “i monelli di Maria” e prova a restituire loro dignità, offrendo condizioni dignitose di vita. “Non mettiamo limiti alla carità verso i nostri fratelli”, ripete, ma intanto lei, per il suo modo di farsi tutta a tutti, anche qui è circondata da diffidenza e malignità, quasi un rifiuto della sua persona da parte dei notabili e dall’amministrazione dell’asilo: una ferita che lei si porta dentro, nel più assoluto riserbo e coprendola con la più squisita carità. “Il segreto per divenire grandi santi è praticare le piccole virtù, facendo tutto bene, nel tempo, nel luogo e nella maniera con cui Dio vuole”: lei semplicemente si consuma di carità e di servizio, fino al dicembre 1924, quando deve mettersi a letto per una broncopolmonite, che la porta alla morte il 31 dicembre. Le danno sepoltura il 1° gennaio, lo stesso giorno cioè in cui 40 anni prima era sbarcata in Sardegna. Era sua abitudine dire che “per santificare gli altri, bisogna farsi santi, altrimenti si potrà fare strepito, ma vero bene, mai!”: che non sia il suo caso lo dimostra il fatto che già 5 anni dopo inizia il processo di canonizzazione di suor Giuseppina Nicoli, che sfocia nella beatificazione, avvenuta a Cagliari, il 3 febbraio 2008.