Nikolaus Gross

Testimoni del Risorto 21.01.2015

“Qualche volta sembra che il cuore mi diventi pesante e che il compito divenga insuperabile se misuro l’imperfezione e l’insufficienza umana di fronte alla grandezza dell’impegno e al peso della responsabilità”: a scrivere così, nel 1943, è un uomo di 45 anni, nel pieno della sua maturità e, quindi, pienamente consapevole delle scelte già fatte e che deve fare. A fargli problema è la conciliabilità tra il suo essere cristiano e padre di famiglia con la partecipazione al complotto per rovesciare il regime di Hitler: in quanto padre di famiglia sa di rischiare la vita e di gettare sul lastrico moglie e figli; in quanto cristiano è cosciente che l’attentato a Hitler ne può causare anche l’eliminazione fisica, con tutti i problemi morali che questo comporta. Sceglie la parte più rischiosa, che lo porta non a partecipare attivamente all’attentato (pur essendo a conoscenza di tutti i dettagli), ma piuttosto a risvegliare le coscienze e a suscitare opposizione al regime mediante i suoi scritti e le sue conferenze. E a chi, alla vigilia dell’attentato a Hitler gli ricorda i rischi cui va incontro e i suoi doveri di padre, risponde senza esitazione: “Se oggi non impegniamo la nostra vita, come pretenderemo poi di stare al cospetto di Dio e del nostro popolo?”. Nikolaus Gross nasce in Germania, il 30 settembre 1898, a Niederwenigern, piccolo centro del bacino della Ruhr, vicino alla città di Essen, all’interno di un’umile famiglia, il cui papà è un semplice fabbro di miniera. E in miniera anche Nicola va a lavorare a 22 anni, prima come manovratore di carrelli per il trasporto dei minerali e poi come minatore. La fede che ha respirato in famiglia lo spinge subito a schierarsi dalla parte dei più deboli, con un’intensa attività sindacale, con lo scopo di migliorare le sorti delle famiglie più disagiate e degli operai più sfruttati. Con notevoli sacrifici e utilizzando il suo poco tempo libero, riesce a migliorare la sua istruzione e, grazie anche alla sua facilità di penna, si avvia nel mondo giornalistico, diventando caporedattore di un giornale sindacale, dalle cui colonne riesce ad offrire orientamenti agli operai cattolici in molte questioni che riguardavano la società ed il mondo del lavoro. Nel 1923 si sposa con Elisabetta Koch, dalla quale gli nascono sette figli ed allora la sua “profonda e continua preoccupazione riguarda i sette che devono diventare delle persone capaci, sincere e forti nella fede”. I suoi doveri di padre, tuttavia, non spengono il suo impegno civile, e subito si contraddistingue per una ferma opposizione all’idea nazionalsocialista di Hitler, ancor prima che questi raggiunga il potere. Fin dall’inizio (già nel 1929-30, tanto per intenderci) per lui i nazisti sono “nemici mortali dello stato moderno”, contestando loro anche “immaturità politica” e “carenza di discernimento”, fino ad arrivare a scrivere: “Come lavoratori cattolici rifiutiamo il nazionalsocialismo non solo per motivi politici ed economici, ma in particolare anche per il nostro atteggiamento religioso e culturale, in modo chiaro e deciso”. Le sue idee circolano prima sul giornale del sindacato e, quando i nazisti glielo fanno chiudere, su quaderni clandestini che stampa e diffonde per educare le coscienze dei lavoratori e far circolare i valori autentici che il regime ha messo in forte crisi. Malgrado tutto è ottimista: “Il buio non è senza luce; la speranza e la fede, che sempre ci precedono, attraverso l’oscurità fanno già presagire l’alba”, scrive nel 1943. Crede che “la maggior parte delle grandi prestazioni nasce dall’adempimento giornaliero del dovere nelle piccole cose quotidiane”, nelle quali egli si esercita con fedeltà ammirevole. Il 12 agosto 1944 viene arrestato in relazione al fallito attentato contro Hitler, al quale, pur senza partecipare direttamente, ha dato il suo appoggio morale. Prima nel carcere di Ravensbrück, poi in quello di Berlino, attende nella preghiera la sentenza di morte, che viene pronunciata il 15 gennaio 1945, ma che in realtà era già scritta fin dal giorno dell’arresto, “per alto tradimento e con la pena dell’impiccagione”, perché “nuotava insieme agli altri nella corrente del tradimento e quindi vi deve anche affogare!”. Impiccato nel pomeriggio del successivo 23 gennaio, come traditore gli viene negato il diritto alla sepoltura e, per non correre il rischio di trasformarlo in martire, il cadavere viene cremato e le ceneri disperse sui campi gelati. Tanto non è bastato, evidentemente, per impedire alla Chiesa di proclamarlo beato e martire il 7 ottobre 2001.