Oscar Arnulfo Romero

 Testimoni del Risorto 25.03.2015

“Non ho la vocazione di martire” confida, anche se predica che “uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita”. Oscar Arnulfo Romero nasce il 15 marzo 1917 a Ciudad Barrios di El Salvador; ordinato il 4 aprile 1942 a Roma dove sta studiando, quando torna in patria, gli trovano un posto in parrocchia; poi diventa rettore del seminario interdiocesano di San Salvador, direttore di riviste pastorali e segretario della Conferenza Episcopale dell'America Centrale e di Panama. È un uomo che conta, conosciuto per la sua posizione conservatrice e tradizionalista, spiritualmente molto vicino all’Opus Dei. Per questo sono in molti a stupirsi ed a dispiacersi, quando nel 1970 diventa ausiliare del vescovo “progressista” di San Salvador, perché si ha timore che il conservatore Romero possa frenare l’azione innovativa intrapresa. Timori e ostilità anche nel clero si manifestano maggiormente quando, nel 1977, diventa a sorpresa arcivescovo di San Salvador, cui si contrappone la gioia del governo e dei gruppi di potere, per i quali la nomina di questo vescovo quasi sessantenne, tutto “spirituale” e completamente “dedito agli studi”, è la miglior garanzia di un rallentamento dell’impegno per i poveri che l'arcidiocesi stava sviluppando con il predecessore. Ci sono cioè fondate speranze che con lui la Chiesa di San Salvador si sciolga da ogni impegno sociale e politico, che la sua diventi una pastorale “spiritualizzata” e dunque asettica, disincarnata, disinteressata ad ogni evento politico. Così si interpreta il suo rifiuto della Cadillac fiammante e del sontuoso palazzo di marmi che i proprietari terrieri subito gli offrono, come anche la sua mancata presenza alla cerimonia di insediamento del dittatore. Cosa avvenga di così deflagrante nella vita di Mons. Romero, da trasformare il conservatore che tutti conoscono nel battagliero assertore dei diritti umani, non è dato saperlo, anche se alcuni collegano questa sua “conversione” all’assassinio del gesuita padre Rutilio Grande, di cui era amico, avvenuto poche settimane dopo la sua nomina. Non bisogna però dimenticare che Romero fin dagli anni giovanili aveva fama di sacerdote austero, con una profonda spiritualità, una salda dottrina e un amore speciale per i poveri. Molto semplicemente, di fronte all’oppressione e allo sfruttamento del popolo, osservando gli squadroni della morte che uccidono contadini, poveri e preti impegnati, il vescovo capisce di non poter fare a meno di prendere una posizione chiara. Istituisce una Commissione per la difesa dei diritti umani; le sue messe cominciano a diventare affollatissime; memorabili le sue denunce dei crimini di stato che ogni giorno si compiono. Paga con un progressivo isolamento e con forti contrasti, sia in nunziatura che in Vaticano, la sua scelta preferenziale per i poveri: alcuni vescovi lo accusano di incitare “alla lotta di classe e alla rivoluzione”, mentre è malfamato e deriso dalla destra come sovversivo e comunista. “Nel nome di Dio e del popolo che soffre vi supplico, vi prego, e in nome di Dio vi ordino, cessi la persecuzione contro il popolo", dice il 23 marzo 1980, nella sua ultima predica in cattedrale. Il giorno dopo, nel tardo pomeriggio, un sicario si intrufola nella cappella dell’ospedale, dove Romero sta celebrando, e gli spara dritto al cuore, mentre il vescovo alza il calice al momento dell’offertorio. Aveva appena detto: “In questo Calice il vino diventa sangue che è stato il prezzo della salvezza. Possa questo sacrificio di Cristo darci il coraggio di offrire il nostro corpo ed il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo”. Subito considerato come martire dal popolo salvadoregno, la causa della sua beatificazione inizia nel 1997 ma si arena subito in Vaticano, perché anche da morto il vescovo ha i suoi nemici: pesa come un’ombra cupa sul suo operato l’accusa di essere stato simpatizzante della Teologia della Liberazione, mentre chi lo ha conosciuto bene continua a testimoniare che “Romero non era un rivoluzionario, ma un uomo della Chiesa, del Vangelo e quindi dei poveri”. La Causa sembra sbloccarsi con l’avvento di Papa Francesco e si comincia a sperare nella beatificazione nel 2017, anno centenario della nascita, ma il Papa ancora una volta spiazza tutti: lo scorso 3 febbraio ha riconosciuto il martirio del vescovo Romero, che il prossimo 23 maggio diventerà dunque beato.