Padre Mario Borzaga e Paolo Thao Shiong

Testimoni del Risorto 13.05.2015

Dopo il padre Mario Vergara, un altro missionario viene elevato alla gloria degli altari, “tirandosi” dietro anche questa volta il catechista con cui ha condiviso il martirio. Si tratta del padre Mario Borzaga, il cui martirio papa Francesco ha ufficialmente riconosciuto la settimana scorsa. Nasce a Trento nel 1932, terzo dei quattro figli di una modesta famiglia, che custodisce come un tesoro la sua vocazione sacerdotale, cui si accoppia ben presto anche quella missionaria, realizzata tra gli Oblati di Maria. Il 24 febbraio 1957 Mario è ordinato sacerdote, facendo il proposito di non essere mai “un parassita dell’altare”, mentre sul suo diario annota: “Cristo che mi ha scelto è lo stesso che ha dato vita e forza ai martiri e alle vergini: erano persone come me, fatte di niente e di debolezza. Anch’io sono stato scelto per il martirio”. Esprime ai superiori il desiderio di partire per il Laos, dove gli sembra di poter meglio essere missionario “ad gentes” e viene accontentato. Vi arriva verso la fine dello stesso anno e i giorni della missione sono meticolosamente raccontati nel suo “Diario di un uomo felice”, che esprime nel titolo tutta la sua gioia di essere là dove ritiene il Signore lo chiami, ma tra le righe cela tutta la fatica del suo calarsi nella nuova cultura, di impararne la lingua e i costumi, di adattarsi al clima, di farsi tutto a tutti. “Così si inizia una missione, il programma della giornata è obbedire e imparare, imparare di tutto da tutti; imparare la lingua, i costumi; imparare a pescare, a camminare nella foresta, a riconoscere i versi e le piste degli animali, imparare la tecnica del legno, delle macchine, dei motori”, scoprendo ogni giorno quanto sia difficile “imparare dai padri, dai fratelli, dagli operai, dai ragazzi, dagli avvenimenti, dalle situazioni, imparare in silenzio da tutti, soprattutto a credere, a soffrire, ad amare.” Patisce la solitudine e la difficoltà a comunicare con gli indigeni, ha paura del clima politico e si lamenta di “aver sognato le mille avventure e una strada gloriosa alla santità per poi trovarsi ad annegare in un buco di missione ed aver paura a metter fuori il naso”.  È testimone dell’effervescenza politica in Laos, dei massacri dei cristiani, della guerriglia che si sta diffondendo, più volte è costretto a fuggire e nascondersi; scrive: “Solo tu. o Gesù, sai quanti passi faremo ancora nel mondo”. A volte si accorge di essere “assalito dalla paura di morire, di impazzire, di essere abbandonato da Dio; allora respiro a fatica, mi sento tutto sobbalzare; ma non è nulla. Gesù mi ama egualmente e io lo amo”. Deve suo malgrado convivere con questa situazione difficile, fare i conti con la sua paura di sbagliare a somministrare le medicine, lavorare fino a sfiancarsi accanto agli indigeni per dare loro l’esempio di come e perché si lavora, ma alla fine prevale la sua fede serena e matura: “…non c’è più d’aver paura, o da lamentarsi: Dio mi ha messo qui e qui ci sto”. Con questa fede provata dalla sofferenza può esclamare: “Voglio formarmi una fede e un amore profondo e granitico, non posso altrimenti essere Martire: la fede e l’Amore sono indispensabili. Non c’è più nulla da fare che credere e amare”. Molto attivo in quelle missioni è Paolo Thao Shiong, un catechista non ancora ventenne, dotato di un carisma eccezionale e molto seguito dalla popolazione, vero “enfant-prodige” della catechesi, un po’ antipatico a chi lo invidia per i risultati che ottiene. Abilmente riescono a mandarlo in crisi ed a fargli interrompere la sua intensa attività catechistica, ma non a staccarlo completamente dalla missione, con la quale saltuariamente collabora ancora, soprattutto quando c’è il padre Mario. Così quando questi deve raggiungere alcuni sperduti villaggi, il catechista Paolo ben volentieri si offre di accompagnarlo. Partono il 25 aprile 1960 e da quel viaggio non torneranno più. Prima voci sussurrate e di recente anche testimonianze giurate dicono che siano stati uccisi in un’imboscata, tesa loro dai guerriglieri comunisti; l’unico obiettivo doveva essere il padre Mario, perché prete e perché straniero; al catechista, in quanto laotiano, viene offerta la possibilità di fuggire, ma egli con fierezza risponde “Se uccidete lui, uccidete anche me. Morto lui, morirò anch’io. Vivo lui, vivrò anch’ io”. I loro corpi non sono mai stati ritrovati, in compenso è stato accertato che la loro morte è avvenuta in “odium fidei”, e con essa hanno riscattato le loro fragilità: davvero, come si diceva, “la santità è dono di Cristo a persone fatte di niente e di debolezza”.