Nel pieno rispetto della volontà popolare, la Chiesa cattolica e anglicana continueranno a insegnare e a celebrare il matrimonio come una unione indissolubile tra un uomo e una donna. Il voto irlandese lascia in sospeso una grande domanda: perché i giovani cresciuti ed educati secondo la tradizione cattolica, non credono più nei valori proclamati dalla Chiesa? L’Irlanda il giorno dopo, tra chi esulta (la maggioranza), chi riflette e chi sicuramente è rimasto deluso. Venerdì e sabato scorsi sono stati i giorni della festa. Il popolo è sceso in piazza ed ha esultato tra grida di vittoria e bandiere arcobaleno. Il 62,1 per cento degli irlandesi ha detto “sì” al matrimonio gay. I "no" sono stati il 37,9%. Un risultato schiacciante che per la Chiesa cattolica irlandese ha rappresentato una vera e propria doccia fredda. Da mesi i vescovi si erano fortemente impegnati a spiegare ai propri fedeli le ragioni di votare “no”, di non aver paura a difendere la famiglia come unione tra un uomo e una donna. Lo hanno fatto scrivendo insieme e individualmente dichiarazioni alla stampa, rilasciando interviste, dedicando al tema della famiglia le loro omelie domenicali. Ma il popolo non li ha seguiti e ha deciso di approvare un emendamento all’articolo 41 della Costituzione irlandese relativo alla famiglia che ora recita così: “Il matrimonio può essere contratto, in accordo con la legge, da due persone senza distinzione di sesso”.
La reazione nell’episcopato irlandese è estremamente discreta. Il primo a rompere il muro del silenzio è stato l’arcivescovo Diarmuid Martin di Dublino che ha affidato le sue dichiarazioni all’agenzia di stampa irlandese Rte news. Dice che è chiaro che il referendum è l'affermazione del punto di vista dei giovani. Quegli stessi giovani che negli ultimi 12 anni hanno frequentato e sono stati educati nelle scuole cattoliche irlandesi. Evidentemente si è creato un gap culturale molto forte. E la Chiesa oggi ha "un grande compito nei loro confronti", primo tra tutti quello di trovare un linguaggio adatto a parlare ai giovani, e non solo su questo tema, ma in generale. L’arcivescovo parla di una “rivoluzione sociale” in atto. E aggiunge: "Penso che la Chiesa ha bisogno di fare i conti con la realtà, a tutto campo, a guardare le cose che sta facendo e ai settori che si sono allontanati completamente dai giovani". Dopo gli scandali sugli abusi sessuali che hanno gettato un’ombra fitta e oscura sulla sua credibilità, la Chiesa oggi si trova di fronte ad un'altra sfida: quella di verificare se il suo messaggio riesce ad arrivare alla gente chiedendosi se la Chiesa è “luogo sicuro dove si incontrano persone che la pensano tutti nello stesso modo oppure è la Chiesa che con papa Francesco parla raggiungendo anche chi è fuori”.