Mons. Enrique Angelelli

Testimoni del Risorto 29.07.2015

Con disprezzo lo chiamano il “vescovo rosso, comunista, estremista, terzomondista” oppure “Satanelli”, ironizzando sul suo cognome, Angelelli, da cui si deduce la sua origine italiana, perché è figlio di nostri emigranti in Argentina, che campano coltivando ortaggi. Nato nel 1923 ed entrato in seminario a 15 anni, lo mandano poi a Roma, dove viene ordinato prete nel 1949. Gli fanno prendere la licenza in diritto canonico alla Gregoriana e nel 1951 ritorna a Cordoba; qui matura una spiccata predilezione per i poveri, cominciando a visitare le “villas miserias”, le baraccopoli argentine della zona. Fonda un movimento giovanile, diventa assistente della Joc (Gioventù Operaia Cattolica) e della Juc (Gioventù Universitaria Cattolica), insegna in seminario. Il 12 dicembre 1960, a sorpresa, Papa Giovanni lo designa vescovo ausiliare di Cordoba e per la sua ordinazione episcopale la cattedrale si riempie di operai e povera gente come mai si è visto prima, e non certo per caso. Partecipa alle ultime tre sessioni del Concilio e respira a pieni polmoni l’aria di rinnovamento che soffia nella Chiesa: forse troppa, a giudizio degli ambienti più conservatori, che lo guardano con sospetto, soprattutto da quando nel 1964 ha iniziato ad appoggiare le istanze di alcuni preti su una nuova concezione di Chiesa e di missione. Tanto basta per determinare un suo allontanamento dal governo della diocesi e la sua “destituzione” a cappellano di una congregazione religiosa e bisogna aspettare parecchi mesi e, soprattutto, un nuovo vescovo a Cordoba per assistere ad una sua reintegrazione. Nel 1968 Paolo VI lo nomina vescovo titolare di La Rioja, nel nord-ovest dell’Argentina, dove inizia, con il suo inconfondibile stile, un servizio pastorale improntato ad un’autentica liberazione dei “riojanos”. Si distingue per la sua vicinanza ai lavoratori ed ai contadini, di cui promuove l’organizzazione in cooperative; denuncia l’usura, la droga, le case da gioco e la gestione della prostituzione in mano ai più ricchi e potenti della società “riojana”. Visita le varie comunità, anche le più sperdute, accompagnato e spesso preceduto dalle diffamazioni e dalle contestazioni dei gruppi conservatori per i quali rappresenta un vero incubo, per la sua franchezza nel parlare e nel denunciare gli abusi. Arrivano addirittura, il 13 giugno 1973, ad interrompere con un lancio di pietre la celebrazione della messa, fomentando contro di lui commercianti e proprietari terrieri, a causa del suo sostegno ai minatori e ai manovali agricoli. La radio boicotta la trasmissione delle sue messe in cattedrale ed il vescovo reagisce denunciando che “anche se ci obbligano al silenzio, Cristo parla”, mentre dall’ambone tuona senza mezzi termini: “Non c’è nessuna pagina del Vangelo che comandi di essere stupidi, non abbiamo gli occhi chiusi, né le orecchie tappate….”. Mentre si fa sempre più intensa la sua attività a favore dei poveri, spiega: “Io non posso predicare la rassegnazione. Dio non vuole uomini e donne rassegnati. Quello che vuole Dio sono uomini e donne che lottano pacificamente per la vita, per la libertà, non per finire in una nuova schiavitù”. Durante la visita “ad limina” del 1974 alcuni ambienti vaticani gli consigliano di non tornare in Argentina perché è a rischio la sua incolumità fisica, ma è una proposta che neppure prende in considerazione. Il 18 luglio 1976, come macabro omaggio per il suo compleanno, gli fanno ritrovare, orrendamente massacrati e mutilati, i corpi di due dei suoi preti più impegnati. Il successivo 4 agosto tocca a lui, anche se gli assassini cercano di camuffare il suo omicidio come incidente stradale. Dalla sua automobile, spinta in un burrone, sparisce una cartellina con carte compromettenti, frutto delle sue indagini sull’assassinio dei due preti. Peccato che il vescovo, a scanso di equivoci, ne avesse prudentemente spedito copia in Vaticano: qui Papa Francesco le ha fatte cercare e pervenire all’attuale vescovo di La Rioja, costituitosi parte civile contro i presunti assassini. Documenti che a luglio 2014 sono risultati determinanti per condannare all’ergastolo due alti ufficiali dell’esercito, gli stessi che qualcuno aveva visto sparare il colpo di grazia alla testa del vescovo dopo il simulato incidente. Adesso che la giustizia umana ha fatto il suo corso, la diocesi ha aperto il processo di beatificazione per mons. Enrique Angelelli, il vescovo che voleva avere “un orecchio al vangelo e un orecchio al popolo” e che chiedeva di “continuare ad attuare il Concilio e continuare la promozione integrale dei riojanos”.