Alessandro Nottegar

Testimoni del Risorto 16.09.15

La famiglia, mettendolo a scuola dai Serviti, non vedrebbe male che diventasse prete, o almeno non si opporrebbe; anche i formatori del seminario sono convinti che il sacerdozio possa essere la strada di Sandro. Un po’ meno convinto è lui, che dopo un lungo e sereno discernimento, conclude che la sua strada è invece il matrimonio. Non tanto perché nel frattempo ha messo gli occhi su Luisa, piuttosto perché ha maturato la convinzione che “anche gli sposi sono chiamati alla santità” e quindi anche nel matrimonio può mettere la sua vita al servizio degli altri. Si sposano nel 1971 e, ricorda adesso Luisa, “il nostro sogno già da fidanzati era andare in missione in Africa”. Nei primi anni di matrimonio lei è ben contenta di lavorare e mantenere la famiglia perché il suo uomo possa laurearsi in medicina. Nel 1978, appena laureato e con il massimo dei voti, dimostra subito che non gli interessano né i soldi né la carriera: con la moglie e due figlie al seguito parte per il Brasile, destinazione Anaurilandia, per lavorare in un ospedale che non ha mai visto un medico e in una zona poverissima. Se lo ricordano ancora adesso, perché “curava le persone come se stesse curando la persona stessa di Cristo”, perfettamente in linea con quello che diceva: “Noi che abbiamo Gesù nell’Eucaristia dobbiamo vederlo e curarlo nei nostri fratelli!”. Quando però ad Anaurilandia arrivano altri medici, subito fa le valigie e si trasferisce in Rondonia, a lavorare in un lebbrosario. Qui lo vedono, inginocchiato ai piedi del malato, a pulire e medicare con tenerezza piaghe ripugnanti e maleodoranti senza la minima smorfia: “Mi sento indegno di servire nei malati Cristo crocifisso. Vedo in loro mio padre, mia madre, i miei fratelli, i miei figli”, spiega. Poi si trasferisce nella diocesi di Rio Branco, a fare il medico a Placido de Castro: per i malati è disponibile sempre, loro dicono in modo perfin “esagerato”, passando ancora all’una di notte, dopo un’intera giornata in mezzo a loro, a vedere se hanno bisogno di qualcosa, e raccomandando che lo si chiami alla prima necessità “perché sono qui per questo”. La sua tenerezza è fatta di piccole cose, che non sfuggono a nessuno: il camminare con gli zoccoli in mano per non svegliare i pazienti e il preparare il caffè per gli ospiti; il sorriso accogliente e le notti in bianco per salvare vite umane; la mano amica per la persona bisognosa, la pacca sulle spalle e il silenzio al posto della critica; la sua capacità di essere, oltre che per il corpo, medicina anche per l’anima e il cuore. Nel 1982 rientrano in Italia, ma ormai “il Brasile, con i suoi poveri, ci aveva profondamente ferito nell’amore, non riuscivamo più a vivere senza pensare all’indigenza, alla fame, alla povertà, alle malattie dei poveri brasiliani”. Abituati ad avere una casa aperta ai preti ed ai religiosi di passaggio, agli amici e magari anche agli amici degli amici, nasce in loro il desiderio di dar vita ad una comunità in cui si preghi e si lavori insieme, in cui ciascuno si senta accolto ed in cui si pensi a chi sta peggio. Adocchiano nel veronese un vasto caseggiato che potrebbe fare al caso loro, che costa 700 milioni. “Anche noi possiamo vendere tutto e seguire il Signore”, dice Sandro, destinando a questo progetto tutta la sua eredità paterna per un valore di 90 milioni. È solito dire che “se noi diamo al Signore tutto ciò che abbiamo, Lui è costretto a metterci tutto il resto” ed in appena sei mesi quel suo piccolo capitale è moltiplicato per sette, esattamente quanto serve. Affidano a Medjugorje il loro progetto alla Madonna, alla quale la famiglia è già da alcuni anni consacrata, e il 15 agosto 1986 nasce la Comunità “Regina Pacis”. “Vi lascio la possibilità di studiare fino alla laurea, se vorrete, e vi lascio in eredità il vangelo”, dice ad una delle tre figlie esattamente un mese dopo, il 15 settembre, ed è un po’ come il suo testamento: quattro giorni dopo è stroncato da un infarto, ad appena 42 anni. “Papà non era tanto bravo a parlare, a fare grandi discorsi; l’amore per il Signore ce l’ha trasmesso con la sua vita”, dicono le figlie. Oggi la famiglia della Regina Pacis è composta da sette comunità, in Italia, Ungheria, Brasile e in Bosnia, con circa un migliaio di persone da sfamare ogni giorno. “Ci manteniamo con il nostro lavoro e soprattutto con la Provvidenza” spiega Luisa. Intanto, nel 2007, la Chiesa di Verona ha avviato l’inchiesta diocesana per la beatificazione di Alessandro Nottegar, ultimata nel 2009 e che sta ora proseguendo a Roma.