Quella di Ignazio Marino, il chirurgo prestato alla politica, è forse solo una pagina stinta e consumata dell’antipolitica. Quella, per intenderci, che si è sviluppata in questi anni all’interno del partito di maggioranza relativa, attraverso il meccanismo delle primarie che ha catapultato alcuni uomini sulla scena pubblica. Ma con alterne fortune a latitudini diverse. C’è poi l’altra antipolitica imperante, quella dei grillini, che esce vincitrice della partita romana e che certamente vorrà giocare fino in fondo la corsa al Campidoglio. Tutti danno già i 5 Stelle al ballottaggio nelle future elezioni di Primavera. Sarà dura per tutti, a cominciare dal Pd, già scosso dall’inchiesta “Mafia Capitale” e costretto a commissariare il partito romano considerato “inquinato”. La domanda che si impone, in vista della futura corsa al Campidoglio: sarà ancora un duello fra politici marchiati di antipolitica? La lezione di questi anni non è bastata? E il premier-segretario Matteo Renzi quale ruolo vorrà giocare?
La parabola di Marino, il sindaco “antipatico” quasi a tutti, oggi alla sbarra per le sue spese di rappresentanza ingiustificate, è solo una faccia del problema di Roma Capitale. La domanda di fondo alla quale bisogna rispondere è se esista a Roma una classe dirigente in grado di amministrare senza lasciare spazio a quel groviglio di interessi (talvolta al limite della legalità, come è stato già dimostrato dalle inchieste giudiziarie) che corteggia e lambisce un grande centro di spesa pubblica qual è indiscutibilmente il Comune di Roma. Una Capitale non può non avere un grande budget, proporzionale ai bisogni dei cittadini e alla cura e manutenzione ordinaria di un territorio immenso. Per non parlare delle necessità di grandi investimenti infrastrutturali. Ma spesso Roma ha dimenticato il suo ruolo di Capitale, non ha maturato una sua visione di futuro, ha trascurato le sue responsabilità di città immagine del Paese. Restituendo una sensazione di trascuratezza, sciatteria e menefreghismo diffusi che una Capitale non merita.
Di recente abbiamo ascoltato una frase molto significativa pronunciata e condivisa da alcuni romani “eccellentissimi”: “Roma ha bisogno di un sindaco che l’ami”. Giusto, dovrebbe essere così in ogni città e sino all’ultima contrada del nostro Paese. Ma è anche vero che spesso la politica (di qualunque colore) ha scelto uomini di seconda o terza fila. O per lo meno (è il caso recente di Roma) non è riuscita a proporre una personalità dall’indiscusso profilo amministrativo, capace di governare secondo un progetto di Città Capitale e non sull’onda del pur giustificato moralismo giustizialista. Se si ripartirà con lo stesso piede sbagliato, l’insuccesso sarà assicurato.
Di sicuro, il futuro di Roma merita un dibattito pubblico ampio e articolato. Mancano all’appello e possiamo dirlo a ragion veduta, molte voci significative. È come se buona parte dell’opinione pubblica, a parte il mugugno di fondo, si sia definitivamente rassegnata al non governo. Molti, troppi, ne fanno quasi una questione antropologica: “È Roma, sono i romani…”. Anche chi romano non è non può accettare questa forma di rassegnazione. Il “marziano” Marino veniva dal Nord e forse Roma non l’ha capita fino in fondo, ma i romani l’hanno capita per davvero? Se la risposta è affermativa, la spieghino a tutto il Paese. Perché lo spettacolo delle tifoserie scese in campo in queste ore, sinceramente ci ha spaventato più che convinto. Come ci avevano già sorpreso e persino avvilito le precedenti tifoserie, quelle pro e contro Alemanno.
Una Capitale ha bisogno disperato di una classe dirigente figlia della migliore politica, capace di interpretare un progetto di futuro, di non farsi dettare l’ordine del giorno né dai poteri forti né dalla piazza manovrata, di tagliare i ponti con il malaffare, di alzare la guardia senza perciò paralizzare la normale attività amministrativa, di ripulire e scrostare la macchina burocratica, di scegliere il personale con l’accuratezza che merita un servizio pubblico, di avere piena consapevolezza del proprio ruolo guida in un territorio baciato dalla cultura e dalla bellezza. E che ricordi sempre di avere una missione storica, quella di porta d’ingresso alla sede della cristianità. Non serve piaggeria, Papa Francesco giustamente la detesta, ma semplice rispetto per le donne e gli uomini di fede che a Roma vengono per pregare. Come pellegrini per il Giubileo, come è accaduto nei secoli che abbiamo alle spalle. Semplice? Niente affatto. Semplicemente dovuto.
E giusto per essere chiari, ne va della faccia di tutti noi italiani, non solo dei romani. Se il successo dell’Expo di Milano ci onora tutti, un disastro nell’accoglienza per il Giubileo di Roma ci infangherebbe tutti.