A che “serve” il convegno di Firenze?

All’appuntamento nazionale (9-13 novembre) partecipano anche sei delegati della diocesi di Fossano: sono, oltre al vescovo Giuseppe Cavallotto, don Derio Olivero, don Davide Pastore, Walter Lamberti, Paolo Tassinari, Nives Gribaudo e Luca Burdisso

Fra pochi giorni si apre il convegno ecclesiale di Firenze, il 5° della serie (iniziata nel 1976 con il convegno di Roma su “Evangelizzazione e promozione umana”). Il tema di questa tornata “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo” è ben presentato in un’ampia traccia che nelle intenzioni è stata la base di preparazione delle comunità parrocchiali e diocesane, ciascuna delle quali invia i propri delegati al convegno fiorentino: i fossanesi sono, oltre al vescovo Giuseppe Cavallotto, don Derio Olivero, don Davide Pastore, Walter Lamberti, Paolo Tassinari, Nives Gribaudo e Luca Burdisso.

Si tratta di un appuntamento quindi ormai abbastanza consolidato nel cammino della Chiesa italiana, collocato a metà del decennio,come momento di incontro, verifica e orientamento, anche in riferimento al piano decennale “Educare alla vita buona del Vangelo” (2010-2020). Considerando il profondo significato dei convegni ecclesiali, una scelta “figlia” del Concilio Vaticano II, volta a promuovere la partecipazione di tutto il popolo di Dio e a sottolineare il valore delle chiese locali, ci sarebbe da attendersi dunque un percorso di preparazione rodato ed efficace, capace di valorizzare la responsabilità diffusa nelle diocesi e parrocchie, conducendole a riflessione e a sintesi. In realtà, se guardiamo al questi mesi che hanno preceduto il convegno, la sensazione è invece quella della calma piatta. Poche le realtà locali che hanno avviato un percorso di studio sui temi del convegno, limitate le occasioni di formazione dei delegati, debole l’eco che del convegno si è avuta nelle comunità parrocchiali, rare le associazioni che ne hanno fatto oggetto di riflessione. Per i più anziani pare un “già visto”, mentre i più giovani faticano ad orientarsi in un linguaggio e una dinamica che risultano poco connessi alla loro concreta esperienza spirituale-ecclesiale. Ma è opportuno andare sotto la superficie, forse un po’ sconsolante, per considerare il senso del convegno in questa fase della vita della chiesa italiana. “La realtà sorprende l’idea”, titolo di un recente convegno nazionale dell’Ac, mi pare renda bene la necessità di cogliere le situazioni reali e su questo provare a costruire, a prepararsi per una nuova semina. Cosa c’è quindi dietro alla “fatica” verso Firenze?

 

La novità di Francesco

Frastornata dalla determinazione conciliare di Francesco - che ha un po’ sparigliato il gioco, ossia le dinamiche interne alla Cei, ma anche indotto una riflessione sull’impostazione culturale-pastorale dei vescovi italiani -, la Chiesa italiana si trova alle soglie di questo appuntamento di Firenze mentre è alle prese con un disorientamento, a mala pena coperto dalle tante iniziative: da quelle per la Sindone e la Gmg torinese, per il Sinodo dei vescovi, a quelle ormai imminenti legate all’apertura dell’anno giubilare sulla misericordia indetto a sorpresa dal Papa per il 2015-2016. Senza dimenticare quelle – di più ampio respiro – connesse alla recezione del magistero di Francesco, in particolare di “Evangelii gaudium” e “Laudato si’”, ma anche di quello “ordinario” che sollecita le comunità locali ad una “conversione pastorale” (si pensi alla questione della accoglienza per i migranti).

E poi c’è il “fronte” civile e politico, anch’esso in forte sollecitazione, le cui dinamiche in questi ultimi 20-30 anni non sono certo risultate estranee alla vita interna della chiesa e al suo modo di porsi nella società. Progetti e prospettive che si intrecciano, talora si sovrappongono e si confondono, indubbiamente difficili da governare. Un governo problematico ancor più là dove la vita delle comunità locali stenta a trovare un ritmo vitale oltre l’appuntamento liturgico domenicale, mentre è alla prese con problemi personali ed economici. Si misura uno “scarto” sempre più forte tra quelli che sono gli orientamenti teologico-pastorali e quella che è la vita concreta e le scelte operative delle comunità locali e dei cristiani. Pesa l’incertezza e la scarsa abitudine al discernimento circa gli strumenti pastorali e i soggetti ecclesiali, a cominciare dall’abbandono dell’associazionismo laicale, di cui gran parte dei sacerdoti e degli stessi laici non vedono la gravità. Vengono così al pettine gli effetti dell’indebolimento del laicato organizzato e delle carenze nella formazione e aggiornamento dei sacerdoti, proprio in una fase di profonda trasformazione in atto nella società. Mentre non pochi evidenziano come il precedente convegno di Verona, che pure aveva segnato alcune significative novità, sia rimasto senza effettivo seguito nella vita delle diocesi italiane. E c’è chi fa notare come la novità del linguaggio che caratterizza la traccia “In Gesù Cristo, il nuovo umanesimo”, non basta a colmare il vuoto riguardante la verifica del precedente convegno, il rapporto con la dimensione socio-politica, la questione del laicato, il tema della povertà e dell’uso dei beni della e nella chiesa, nonostante il cambiamento epocale che coinvolge il modo di essere della comunità cristiana in questa società.

 

Significati e prospettive

In questo contesto, allora, che senso ha Firenze ? Credo che i motivi di significato e di sviluppo positivo ci possano essere. Anzitutto sul primo dei significati, quello del convenire. Proprio in un tempo in cui sono meno vivi gli entusiasmi (e i conflitti) che hanno segnato i primi convegni ecclesiali, resta di grande valore il fatto che i rappresentanti delle chiese locali si incontrino, si riconoscano, dialoghino e si interroghino. Non c’è un’altra strada più facile, a meno di non accontentarci di una Chiesa solo mediatica, centrata sulla figura del Papa o di qualche episodio che fa particolare audience. Come in una famiglia ci si ritrova nei momenti di forza e di espansione, ma non si rinuncia a stare insieme anche nei momenti di debolezza e di incertezza. Il disorientamento oggi è un dato di realtà, che va affrontato: ma non possiamo uscirne da soli o osservando altri che giocano la partita. Il primato conciliare della Chiesa locale, seppur questa sia oggi segnata da lentezze e contraddizioni, ci richiama al tessuto concreto delle comunità e al vissuto effettivo delle persone. È questo che va costruito ad ogni passaggio (di epoca o di generazione).

Una seconda prospettiva di Firenze sta nella possibilità di sollecitare nelle diocesi una riflessione sul futuro della pastorale, animando (o ri-animando!) realtà che oggi appaiono appannate, ridando valore al senso della partecipazione, superando la tentazione dell’attivismo clericale; in tal senso occorre sempre considerare che la vitalità ecclesiale ha sempre anche un riflesso sulla vita culturale e civile delle comunità. I cristiani hanno capito che la fede non dà risposte automatiche ai problemi del nostro tempo, ma sono consapevoli di aver ricevuto una “buona notizia” che può essere luce e motivo di speranza per tutti, contributo al riconoscimento della dignità di ogni essere umano, alla costruzione di una convivenza più giusta e pacifica della “famiglia umana”.

È attraverso la partecipazione e la corresponsabilità che si può arrivare ad un terzo passaggio, decisivo, quello del discernimento. A partire da una domanda che riguarda l’intera comunità ecclesiale, ma direttamente anche i singoli credenti: che cammino stiamo facendo? Che cammino sto facendo con gli altri? Che cosa ci serve o ci può aiutare per crescere, per camminare? Anche attraverso il convegno ecclesiale, riandando all’essenziale della fede e vivendo il dono e la pratica della misericordia, siamo insomma chiamati a riscoprire il nostro come un tempo propizio per seminare, per avviare scelte, per costruire insieme.

 

* delegato regionale Ac