Un clima di tristezza pervade il mondo del dialogo. I toni si abbassano, le parole si pronunciano a fatica, gli sguardi sono abbassati. Si credeva forse che i processi di confronto tra culture e religioni diverse fossero ormai ben avviati. E invece gli attentati di Parigi hanno portato le lancette del dialogo indietro nel tempo. All’indomani del tragico attacco, esponenti del mondo islamico, cristiano e culturale italiano si sono dati appuntamento a Roma per parlare di Islam in Italia. La parola d’ordine che circola tra i corridoi del convegno è quella di non cedere alla trappola dei terroristi che è proprio quella di generare paure e divisioni.
Izzedine Elzir è l’Imam di Firenze, presidente dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia (Ucoii). Racconta di aver ricevuto sul cellulare centinaia di messaggi di solidarietà. I terroristi sono entrati nei locali parigini gridando “Allah u Akbar”. Un particolare che inevitabilmente avvalora nell’opinione pubblica la terribile equazione “Islam/terrorismo”. “Da questi atti criminali – dice Elzir – noi siamo colpiti due volte. Intanto perché viene usato il nome della nostra fede, il nome del nostro Creatore e poi perché sono stati uccisi altri fratelli in umanità. Siamo tutti parte dell’unica famiglia umana. Noi sentiamo dolore. Esprimiamo solidarietà a tutto il popolo francese ma proviamo anche rabbia”. L’imam rivolge agli italiani un appello perché “non cadano nella trappola dei terroristi. Il nostro dovere religioso civile e morale è quello di creare ponti. Anzi, è proprio nei momenti più difficili che dobbiamo lavorare per dimostrare che non hanno vinto questi criminali ma ha vinto la ragione della convivenza e del dialogo possibile”.
“Non solo il dialogo è possibile ma è doveroso”. Don Cristiano Bettega, direttore dell’Ufficio Cei per l’ecumenismo e il dialogo, è preoccupato. “Le reazioni di tanti oggi – dice – metteranno in dubbio la possibilità di dialogare e molti si chiederanno: ma a cosa serve il dialogo?”. “Non abbiamo alternative – incalza il rappresentante cattolico – e più costruiamo muri, barriere e ghettizzazione, più ci mettiamo sulla difensiva, più generiamo un clima di violenza e di scontro”. Quindi l’appello è a non cedere alla tentazione della “stigmatizzazione e del pregiudizio”.
Secondo il Dossier statistico “Immigrazione 2015” i musulmani regolarmente residenti in Italia alla fine del 2014 sono più di un milione e 600mila. In alcune Regioni come Emilia Romagna e Trentino Alto Adige, i musulmani sfiorano l’incidenza del 40% sulla popolazione straniera. “La questione è seria”, dice Enzo Pace, professore di sociologia delle religioni all’Università di Padova, “perché queste azioni non solo sono efferate e colpiscono la vita civile” ma rivelano che c’è un problema grave non ancora risolto. È “la spaccatura profondissima nel mondo musulmano tra chi pensa che non ci sia altra alternativa alla lotta armata e i musulmani, quasi increduli, che non riescono a credere che qualcuno possa invocare il nome di Allah per uccidere in questo modo”. Insomma, il professore è chiaro: “I musulmani autentici devono interrogarsi sul perché e come la loro religione sia arrivata ad essere usata o abusata in questo modo”.
I problemi non risolti sono molti a partire dall’approccio “letteralista” del testo sacro, all’insegnamento dei versetti coranici, alla sovrapposizione tra religione e politica, alla mancanza assoluta di spazi di apertura e confronto.
Come si vince il terrorismo? Stefano Allievi, sociologo esperto di Islam in Europa, non ha dubbi. “Essendo un terrorismo islamico, lo possono vincere solo i musulmani. Noi possiamo dare una mano aiutando i musulmani che sono i nostri naturali alleati a combattere i loro e i nostri nemici”. “L’Islam non solo non fa paura ma è profondamente impaurito da questi atti compiuti dall’altro Islam. Lo Stato laico e la stragrande maggioranza dei musulmani sono quindi alleati naturali nella battaglia contro il terrorismo”.