Paolina Jaricot

Testimoni del Risorto 06.01.2016

"Andate là dove la gente vive, lotta e soffre, e chiamatela. Andate nelle famiglie, e  rivelate che se c’è Dio, c’è la pace. Non serve predicare solo nelle chiese, perchè le chiese ormai sono quasi vuote; non serve solo fare catechismo, perchè i giovani non partecipano; perciò, andate dove la gente si ritrova e dite ad essa che Dio aspetta”. Sembrano parole scritte per l’oggi, invece risalgono a quasi due secoli fa; non sono di un celebre predicatore, ma vengono attribuite ad una donna semplice, che coltiva in cuore una profonda ansia missionaria pur non avendo mai messo piede fuori di Lione, la città in cui è nata il 22 luglio 1799 ed in cui muore il 9 gennaio di 150 anni fa. Paolina Jaricot è la settima nata di una famiglia di piccoli e facoltosi industriali della seta. “Sii benedetto, Signore, per avermi dato un uomo giusto per padre, e per madre una donna piena di virtù e di carità”, scriverà un giorno, riconoscendo in quale terreno fertile ha potuto metter radici la sua spiritualità. Il che non le impedisce, durante l’adolescenza, di lasciarsi affascinare dalla ricchezza, dall’eleganza, dall’ambiente festaiolo e da infantili intrecci amorosi. Paolina, parlando di sé, si dice dotata di “una immaginazione viva, uno spirito volubile, un carattere violento e pigro”, ma si dipinge anche “estremamente impacciata in tutti i lavori manua-li, incapace di intraprendere qualcosa, inefficiente nella conduzione di una casa, lenta in quello che faccio, porta-ta violentemente alla collera, alla gelosia, all’orgoglio, alla vanità”. C’è del vero in questa descrizione, anche se forse un po’ troppo accentuata da un’estrema sensibilità. A 15 anni una banale caduta da uno sgabello la porta sull’orlo della tomba, poi arriva una “malattia di nervi” che l’accompagna per alcuni anni, nel frattempo le muore la mamma, aprendo una ferita che tarda a rimarginarsi. Però, dopo il tunnel della malattia e della depressione, arriva la luce di una fede limpida e il desiderio di una maggior perfezione, complice una predica sulle vanità della vita, che la distacca progressivamente da un lusso ed un’eleganza che fino a quel punto hanno caratterizzato la sua vita. Ha un fratello che sta sognando di andare missionario in Cina e la contagia del suo amore per le missioni; dato che però una donna, secondo la mentalità dell’epoca, poco o nulla potrebbe fare per l’evangelizzazione, Paolina prova ad inventarsi un metodo concreto e semplice per venire in aiuto “non a questo o quel missionario, ma a tutta la Chiesa in tutto il mondo”. L’idea è semplice e nello stesso tempo così articolata che il suo direttore spirituale deve ammettere che proviene direttamente da Dio, perché Paolina “è troppo sciocca per aver inventato questo piano”. Si tratta, molto semplicemente, di una catena di solidarietà sviluppata tra conoscenti ed amici che “depongono nelle mani del Papa, a dieci a dieci, a cento a cento, piccole quote costanti, come chicchi di grano che egli può impastare e trasformare in pane per le missioni’’. Nasce così l’Opera della Propagazione della Fede di Lione, che dalla Francia si estende rapidamente in Italia, Belgio, Germania e Spagna, e poi in tutte le nazioni d’Europa. Organizzatrice instancabile, fonda il “Rosario vivo”, le “Figlie di Maria” (una specie di istituto secolare ante litteram) che si dedicano all’assistenza delle operaie e addirittura una fabbrica modello, basata sulla solidarietà tra gli operai e sull’equa ripartizione del profitto tra gli stessi. È questo il classico passo più lungo della gamba per Paolina, che scivola nelle mani di uno speculatore senza scrupoli: la sua fabbrica fallisce e lei finisce sul lastrico. Chiede aiuto all’Opera che ha fondato, ma la risposta è lapidaria e suona come un disconoscimento in piena regola: “Considerando che non è il caso di riconoscerle la qualità di fondatrice, il consiglio rifiuta di concederle un aiuto finanziario”. Aiutata dal Papa, sostenuta dal Curato d’Ars (che tesse anche le sue lodi dal pulpito), deve essere iscritta nell’albo dei poveri e per dieci anni va mendicando per le strade di Lione: non per mantenersi, ma semplicemente per pagare i debiti, che non riesce ad estinguere prima che il suo cuore malato cessi di battere. Le  sue virtù eroiche sono state riconosciute dalla Chiesa nel 1963 e si attende ora il riconoscimento di un miracolo per proclamarla beata.