Jean-Joseph Lataste

Testimoni del Risorto 13.01.2016

Ci può servire, nei primi mesi di questo Anno Santo, scoprire i “testimoni della Misericordia” di cui fortunatamente la Chiesa è ricca, anzi trabocca.
“Penso che questo sublime sacramento d’amore non sia stato istituito come ricompensa per le anime pie e ben disposte, ma anche come un rimedio… per ritrovare la forza e il coraggio di cui abbiamo bisogno”. Non deve piacere molto quel domenicano, che 150 anni fa, parlando dell’Eucaristia, si dimostra così non “in linea” con la sacramentaria dell’epoca. Nasce a Cadillac-sur-Garonne (Francia) nel 1832, in una famiglia agiata: papà si vanta di essere un libero pensatore e di fatto non è praticante, pur non impedendo che la moglie educhi cristianamente i figli. Così entra a nove anni nel seminario di Bordeaux, a maturare una vocazione verso la quale si sente irresistibilmente attratto, ma per la quale si sente profondamente indegno. Così, mentre inutilmente si macera nella ricerca di una vocazione che già ha, i formatori finiscono per ritenerlo inadatto al sacerdozio e lo mandano a casa. Qui si allontana da Dio, mentre studia, si diploma e trova lavoro all’ufficio imposte. Fortunatamente ha una sorella che lo segue corregge e rimprovera, e soprattutto un collega che lo introduce a poco a poco nella San Vincenzo. È la carità a fargli ritrovare la strada di Dio riscoprendo, a contatto con i poveri, la bellezza della fede, l’ansia missionaria, il gusto della preghiera. Trova anche l’amore e il suo cuore si mette a palpitare, ampiamente ricambiato, per la giovanissima Cecile: la dolcissima storia d’amore che ne potrebbe nascere viene subito stroncata da papà, che non ritenendo la pretendente all’altezza di suo figlio, briga e intrallazza perché questi venga trasferito d’ufficio. Da Bordeaux a Privas, a Pau e a Nérac, sempre il ragazzo si porta dietro la passione per i poveri, la fedeltà all’adorazione notturna, la voglia di far catechismo per annunciare la bontà di Dio. Nel 1855 tre prove dolorosissime: muoiono la sua balia (che ha amato come una mamma), la sorella suora (che ha offerto la vita per la sua vocazione sacerdotale) e anche Cecile, portata via da una febbre tifoide. Questa serie di lutti, insieme ad una predicazione particolarmente incisiva di due domenicani, risvegliano la vocazione sacerdotale e nel 1857 entra dai domenicani, diventando prete l’8 febbraio 1863. “Tutti i vostri delitti, per quanto grandi siano, non raggiungeranno mai le proporzioni del suo amore infinito e della sua infinita Misericordia!”, è il succo della sua prima omelia pubblica. Diciotto mesi dopo, all’alba del 15 settembre 1864, per ordine del suo superiore, varca l’ingresso del carcere femminile di Cadillac, per predicare un ritiro a 400 detenute. Sa di entrare in un luogo in cui regna la disperazione, caratterizzato da frequenti suicidi, governato da rigidissime regole tra cui i lavori forzati e il divieto assoluto di comunicare tra loro. Introduce la prima predica con un laconico “mie care sorelle” che probabilmente nessuno prima di lui ha pronunciato in quel luogo e subito “le loro teste si rialzano come fiori dopo il temporale”. Entrato in quel carcere “con un gran stringimento di cuore pensando che sarebbe stato tutto inutile” (come scriverà lui stesso), neppure lontanamente immagina cosa la grazia di Dio opera in quelle anime assetate di tenerezza e di speranza. Che riesce a riaccendere insegnando che “la misericordia del Signore è per tutti”, mentre offre loro la prospettiva di un futuro migliore spiegando che “qualunque sia il vostro passato, non consideratevi più come detenute, ma, anche voi, come anime votate a Dio”. Nascono  così, in quel carcere, le Domenicane di Betania, anche se ufficialmente prenderanno vita solo nell’agosto 1866. La vuole come congregazione aperta sia a donne con una vita segnata dal disordine morale che a donne con un passato ordinario. Idea rivoluzionaria 150 anni fa, ma forse anche oggi: per questo incontra opposizioni, contestazioni e critiche, sia da parte delle suore che di alcuni confratelli. Non ha tuttavia tempo a soffrire molto neppure di questi contrasti, perché una brutta pleurite lo porta via poco più di due anni dopo, il 10 marzo 1869, a 36 anni e qualche mese, avendo unicamente la consolazione di aver gettato un seme. Che ha continuato a germinare, anche se in piccole proporzioni, in Francia, Svizzera, Belgio. E anche in Italia, a Torino, dove a Porta Nuova, ad esempio, portano una bevanda o una parola buona agli attuali “scarti” della società, ricordando loro le parole sempre attuali del beato Jean-Joseph Lataste: “Chiunque voi siate, venite da Gesù. Egli ha tanta bontà tanto perdono per chi si sente colpevole. Ha del balsamo per tutte le ferite, dell’acqua per tutti i peccati”.