Un bicchiere d’acqua per dissetare milioni di persone

Opere di misericordia - Dar da bere agli assetati. La campagna "Acqua è vita" promossa dalla LVIA di Cuneo

Dar da bere a un assetato sembra un gesto semplice ed economico. Ma non in tutto il mondo. Ci sono paesi così poveri dove l’acqua è difficile da raggiungere o è scarsa oppure non potabile. Per questo la Lvia di Cuneo, prossima al suo cinquantesimo compleanno, da 12 anni si sta dedicando alla Campagna “Acqua è vita”. Un progetto cui aderiscono diversi testimonial, come per esempio Stefania Belmondo, istituzioni e molte persone comuni che hanno scelto di sostenere questa proposta. Con buoni risultati nei diversi paesi in cui è stata messa in atto. “Il nostro è un bicchiere pieno di una grande brocca” della solidarietà internazionale, ci dicono Italo Rizzi e Ezio Elia, rispettivamente direttore e attuale presidente dell’associazione (nella foto a lato). Una vita, la loro, spesa con generosità in viaggi e attività di  sensibilizzazione per progetti in paesi in via di sviluppo. Abbiamo chiesto loro di parlarci della situazione idrica, alla luce della seconda opera di misericordia corporale.

Il problema dell’acqua interessa vaste zone dell’Africa, quali in particolare? 

Elia: Le situazioni sono molto diverse da paese a paese: nella zona del Sahel (Senegal, Mali, Burkina Faso e il nord del Kenya) l’acqua è un problema quotidiano e storico; in altre parti del Kenya ce n’è invece tanta e bisogna fare degli acquedotti per spostarla; in Burundi questo problema non c’è, in quanto è un paese molto umido, così come nelle due Guinee, dove bisogna soltanto renderla potabile o desalinizzarla. In Africa orientale ci sono zone quasi desertiche, dove è molto scarsa. La Tanzania (che è enorme) ha situazioni idriche diverse a seconda del posto.

Quali strategie seguite per affrontare questo problema? Chi vi aiuta a sostenere questi lavori? 

Elia: Se l’acqua è in profondità bisogna scavare pozzi, se è di superficie bisogna renderla potabile, se ci sono sorgenti o pozzi tradizionali, bisogna soltanto rendere migliore le cose che già funzionano, attraverso le tecnologie moderne, che negli anni sono cambiate. Per esempio in passato sono state utilizzate, con grandissimo successo, le eoliane, sfruttando la forza del vento. Oggi invece i pannelli solari che alimentano pompe elettriche costano di meno. Là dove i pozzi non ci sono bisogna fare delle ricerche per capire dove siano le falde d’acqua e a quel punto trivellare. I nostri progetti ricevono anche finanziamenti istituzionali dal Ministero Affari Esteri e dall’Unione Europea. Ma cofinanziati da risorse che la Lvia e altre associazioni raccolgono con le campagne come la nostra, denominata “Acqua è vita”. 

In che cosa consiste, e come vi aiutano i vostri testimonial? 

Elia: Creiamo piccoli eventi (anche spot) per spiegare quello che facciamo, e per ribadire, con il simbolo di una piantina, che l’acqua è vita. Gli italiani sono comunque diventati più sensibili grazie anche al referendum sull’acqua. 

Come si può essere sensibili da qui, dall’Italia? 

Elia: Noi desideriamo che chi ci sostiene si appassioni e ci segua nel nostro lavoro, ancora prima dei soldi che si possono dare per i nostri progetti. Da conoscere attraverso i viaggi sul posto che annualmente organizziamo (o informandosi sul sito www.lvia.it). La gente deve vedere, capire e toccare con mano queste problematiche.

Quali problemi sociali e quali miglioramenti ci sono nei villaggi, grazie alla campagna dell’acqua? 

Elia: Innanzitutto capire se va pagata e a chi. Con i pozzi avevano le loro regole; oggi c’è un problema di gestione, affinché non diventi un bene privato di qualcuno, ma sia di tutti, in base alle leggi dello Stato e alle regole di ogni comunità. E che tutti siano economicamente responsabili della manodopera tecnica, perché le realizzazioni continuino. Avvicinando l’acqua al villaggio si fa poi risparmiare tempo e fatica alle donne e ai bambini, che non devono più fare chilometri con un otre sulla testa! Inoltre se pulita comporta minori malattie e maggiori attività economiche come la coltivazione di orti, o preparazioni culinarie da vendere al mercato. Infine una sua più equa distribuzione contribuirebbe a una riduzione (speriamo!) dei conflitti ad essa legati; il rischio è la realizzazione di dighe enormi, per portarla solo in capitale o a mega piantagioni industriali. Dove ce n’è, si potrebbe portare invece in ogni cortile; se viene estratta con pompa solare, sarebbe già molto avere una fontana per villaggio.

Rizzi: Vogliamo legare la campagna dell’acqua a quella dell’igiene. Le strutture sanitarie hanno bisogno dell’una come dell’altra. E quando si parla di accesso all’acqua, pensiamo all’area rurale in cui operiamo, la più dimenticata, la più disagiata rispetto a quella urbana. 

Oggi ci sono nuove generazioni di africani più tecnicamente preparati ad affrontare questi problemi? 

Elia: Su questo l’Africa ha fatto passi da gigante. Alla fine degli anni ‘80 i tecnici erano rari; oggi ci sono fior fiore di professionisti competenti, per cui mandiamo laggiù sempre meno italiani. 

Obiettivi futuri? 

Rizzi: Abbiamo concorso per lo 0,4% al miglioramento dell’accesso all’acqua dell’Africa subsahariana (un milione e centomila persone in 12 anni di campagna di sensibilizzazione). Contribuiremo con una programmazione che interessi ancora decine di migliaia di persone ogni anno, facendo concorrere le risorse istituzionali e private (fondazioni e aziende) e i governi locali con il loro monitoraggio; così la nostra azione è più efficace. E infine con il valore aggiunto dell’innovazione tecnica e gestionale. Nonostante i suoi 50 anni di vita la nostra organizzazione vuole tenersi fresca di idee e di contributi. Non solo in termini di investimenti, ma anche di relazioni.