Luigi Variara

Testimoni del Risorto 03.02.16

Com’era successo a tanti prima di lui, basta uno sguardo di don Bosco ad affascinarlo ed a conquistarlo all’ideale salesiano. Lui ha solo 12 anni, a don Bosco restano appena 40 giorni di vita; si tratta di un incontro a distanza neppure tanto ravvicinata, ma sufficiente a fargli dire in seguito: “Ero sicuro di aver conosciuto un santo e che quel Santo aveva letto nella mia anima qualcosa che solo Dio e lui potevano sapere”. Entra in noviziato e lo conclude con i voti perpetui nelle mani di don Rua, futuro beato, che giocando sul suo cognome gli sussurra all’orecchio: “Variara, non variare!”. Va a studiare a Valsalice e viene a contatto con don Beltrami, anch’egli oggi avviato alla gloria degli altari, che con la sua spiritualità vittimale gli lascia dentro un segno indelebile. Un simile contatto con i santi sembra predestinare il futuro del chierico Luigi Variara, che un bel giorno fa conoscenza con don Michele Unia, il missionario dei lebbrosi di Agua de Dios. Anche in questo caso basta uno sguardo. Tra 188 chierici don Unia, con decisione, fissa negli occhi il chierico Variara  e dice “Questo è mio”. Il giovanotto segue in Colombia il grande missionario, che dopo un anno muore, lasciandogli come eredità la sua ansia per i lebbrosi. E lui si butta con il suo slancio giovanile in quel lazzaretto di 2000 abitanti, 800 dei quali sono lebbrosi. Crea una banda musicale che riempie di gioia quel luogo di dolore e, per insegnare ai ragazzi lebbrosi a tenere lo strumento, lo usa dopo di loro senza cambiare l’imboccatura: preferisce correre il rischio dell’infezione, come si credeva allora, piuttosto che umiliarli. Presta ai lebbrosi i servizi più umili e ripugnanti, ai più invalidi fa la toeletta personale: più che un padre sembra una madre per quei poveri disgraziati. Il lebbrosario, tradizionalmente considerato come un ergastolo, in cui si viene portati con la forza e in cui si resta aspettando la morte, spesso anticipata con il suicidio, comincia ad esplodere di gioia e di vita. Con la banda musicale, la corale, il lavoro e nel lebbrosario si comincia a “vivere” e non solo a sopravvivere. Nel 1898, a 23 anni appena, viene ordinato sacerdote, primo dei salesiani in Colombia, e al tanto lavoro che già svolge aggiunge il ministero sacerdotale. Anche con un certo successo, visto che si rivela subito un ottimo direttore spirituale. Per dimostrare con i fatti che i lebbrosi non sono inferiori ai sani, pensa a giovani consacrate anche se lebbrose, visto che all’epoca nessuna congregazione avrebbe accettato né una lebbrosa né una figlia di lebbrosi: nascono così le Figlie dei Sacri Cuori di Gesù e Maria. A queste sue “figlie” propone la spiritualità vittimale che ha imparato dall’indimenticabile don Beltrami, insegnando loro, come fanno ancora oggi, che la sofferenza, “vissuta come offerta della propria vita, si traduce in strumento di redenzione personale, superando il proprio dolore e accogliendo le sofferenze degli altri, come vocazione di servizio offerta al Padre”. Lo stesso don Luigi la sperimenta su se stesso, perché non gli mancano incomprensioni e difficoltà, anche da parte dei superiori: dal nuovo direttore, che vuole limitare l’attività del lazzaretto e di don Luigi; dalle suore del posto, che si dimostrano gelose della sua nuova congregazione; dal vescovo, che male informato comincia a diffidare di lui; dall’ispettore, che comincia a trasferirlo di qua e di là, come persona scomoda. L’apice delle sofferenze per don Luigi arriva da un giovane, che gli rivolge un’accusa infamante, che solo la storia e i successivi avvenimenti riveleranno infondata. Don Luigi, che nel lazzaretto ha imparato “a non lasciarsi rubare il cielo”, tutto sopporta con pazienza edificante, tutto scusa con infinita carità. Alle sue Figlie insegna: “Portate Dio agli ammalati: varrà più di qualsiasi cura”. Lui, da parte sua, porta Dio a tutti. E tutti se ne accorgono, mentre lui viene trattato come un pacco postale, trasferito da una comunità all’altra, fatto oggetto di calunnie e di gelosie. Ha solo 46 anni, ma la sua salute sta declinando: il medico, per motivi climatici, consiglia di trasferirlo a Cùcuta e questo è l’ultimo viaggio di don Luigi. Qui muore infatti il 1° febbraio 1923, e qui viene sepolto, ma anche dopo la morte don Luigi continua a “disturbare” con l’esempio di una vita vissuta all’insegna della misericordia verso i più poveri, dell’incomprensione e della sofferenza morale, tanto che Giovanni Paolo II lo proclama beato il 14 aprile 2002.