Alberto Michelotti

Testimoni del Risorto 24.02.2016

Un parroco e il suo chierichetto, un vescovo ed il suo vicario, il fondatore di un istituto e i suoi figli spirituali, due fratelli o due sorelle, mamma e figlia, recentemente anche marito e moglie, ma due amici finora mai. Questo primato spetta alla diocesi di Genova, che, per la prima volta nella storia bimillenaria della Chiesa, ha iniziato nel 2008 una causa congiunta per la beatificazione di due amici, morti 35 anni fa, a 40 giorni di distanza l’uno dell’altro. Si tratta di un avvenimento quanto mai significativo, quasi una legittimazione dell’amicizia spirituale come via alla santità. L’adolescenza e i primi anni della giovinezza di Alberto Michelotti, nato a Genova il 14 agosto 1958, si srotolano tutti all’ombra del campanile: animatore Acr, catechista, impegnato in parrocchia in mille modi. La svolta significativa della sua vita arriva però grazie al nuovo parroco, in una sintonia spirituale e in uno stimolo reciproco che fa bene ad entrambi. È lui ad avvicinarlo ai Focolarini, soprattutto con la Mariapoli del 1977 durante la quale “Dio amore” entra nella vita di Alberto così prepotentemente da sconvolgerla. Questo e non altro deve amare, vivere e testimoniare nella normalità degli atti quotidiani di ragazzo entusiasta, innamorato della vita, brillante negli studi di ingegneria. Ha la stoffa del leader e la utilizza per tessere rapporti duraturi con gli amici, soprattutto i Gen, ma anche con i tanti diseredati che va a scovare nei carrugi della sua Genova. Vive d’Eucaristia e la comunione quotidiana diventa il suo irrinunciabile appuntamento quotidiano, anche a costo di autentici equilibrismi tra lo studio, gli impegni di carità e le varie riunioni di cui è l’anima e il fulcro. Nel suo cammino di ricerca dell’amore autentico scopre la purezza come strumento per raggiungere la vera libertà e condivide questo ideale con gli amici, in particolare con Carlo Grisolia, fatto della sua stessa pasta, anche se da lui molto diverso, per interessi, potenzialità e carismi. Tanto ad Alberto piace la montagna, quanto a Carlo piace leggere, suonare e scrivere poesie; tanto il primo è razionale e “matematico”, quanto il secondo è poetico e sensibile. Ad unirli soltanto la passione per Dio-amore e il desiderio di vivere con intensità e portare agli altri l’ideale evangelico del mondo unito. Carlo, nato a Bologna nel 1960, è praticamente cresciuto tra i Focolarini. Da loro, soprattutto da Chiara Lubich che gli ha dato il nuovo nome di “Vir”, cioè “uomo forte”, ha imparato la strategia del “farsi santi insieme” che diventa un obiettivo concreto quando incontra  Alberto nel gruppo Gen della val Bisagno. Tra i due si stabilisce un invidiabile sodalizio spirituale, nel comune sforzo di “tenere Gesù in mezzo”, al punto che ciascuno conosce dell’altro difficoltà, lotte, fallimenti, conquiste, diventando reciproco sostegno nel comune cammino verso la santità.  In mancanza degli attuali sms, bigliettini vergati di corsa, magari su carta di fortuna,  lasciati in buca o sotto il tergicristallo dell’automobile, se non vere e proprie lettere quando Carlo va a fare il servizio militare nella Marina: “Carlo, aiutami sempre a vivere la mia libertà”, “Tieniti attaccato alla Madonna, pensa a lei”, oppure “Se ce la facciamo, possiamo darci appuntamento tutti i giorni nell’Eucaristia”. La vita di Alberto si chiude sulle nostre montagne, il 18 agosto 1980, durante la traversata del massiccio dell’Argentera, in una rovinosa caduta sul canalone ghiacciato di Lourousa. Carlo non partecipa ai suoi funerali e non solo perché sta facendo il militare: proprio il 19 agosto una visita medica gli ha diagnosticato un cancro, dei più maligni e galoppanti. Inizia per lui, da un ospedale all’altro, una staffetta di 40 giorni per arrivare all’incontro finale con Gesù. “Offro la mia vita per tutti voi, ma soprattutto per l’umanità che soffre, per i ragazzi del mio quartiere, della mia parrocchia, per il mondo unito”, confida agli amici, raccomandando loro “di essere pronti a dare la vita l’uno per l’altro”. Alle infermiere, sbalordite dalla forza d’animo di quel ventenne che ha piena coscienza di spegnersi, spiega: “So dove vado, sono pronto al tuffo in Dio”, e in Lui si immerge il 29 settembre, dove Alberto da 40 giorni lo sta attendendo. “È sempre un bel gioco quello di vivere l’Attimo Presente”, aveva scritto un giorno: a giudicare da come speditamente sta procedendo la loro causa di beatificazione sembra proprio che sia lui che Alberto l’abbiano vissuto pienamente. Per davvero.