Scacco al re. L’enorme Tangentopoli brasiliana, imperniata sulle tangenti pagate dal colosso petrolifero statale Petrobas, si spinge fino ai livelli più impensati. Dopo aver sfiorato la presidente Dilma Rousseff, travolge in pieno il suo predecessore e indiscusso leader storico del Partito dei Lavoratori:Luìz Inácio Lula da Silva: prima sindacalista, poi capo di partito, e, dal 2003 al 2001, presidente della Repubblica del più grande Stato dell’America Latina. Una figura di rilievo continentale se non planetario, capace di incarnare una sinistra vicina al popolo, insieme di lotta e di governo.
Ebbene, quello stesso Lula – che da qualche mese stava preparando il suo grande ritorno e ambiva a ricandidarsi alle Presidenziali nel 2019 – è stato venerdì (4 marzo) mattina all’alba prelevato dalla sua abitazione dalle forze dell’ordine, che lo hanno forzatamente accompagnato dai magistrati dell’indagine Lava-Jato (autolavaggio), che lo attendevano in una sala dell’aeroporto di Congonhas, a San Paolo. Un’operazione di grande impatto scenografico (si parla dell’intervento di duecento agenti), mentre l’abitazione dell’ex presidente veniva meticolosamente perquisita.