Non accadeva da 90 anni: in Italia calano i residenti

Gli italiani diminuiscono perché i decessi aumentano a fronte del persistente calo delle nascite: il deficit negativo tra nati e morti è stato di 227.390, appena mitigato dal saldo positivo degli immigrati. Siamo sempre più vecchi. 

“Nel corso del 2015 il numero dei residenti ha registrato una diminuzione consistente per la prima volta negli ultimi novanta anni: il saldo complessivo è negativo per 130.061 unità”. Così, tra virgolette, il comunicato dell’Istat sul bilancio demografico nazionale. Lapidario, verrebbe da dire, se non sembrasse umorismo macabro quanto mai fuori luogo nella circostanza. E non viene in soccorso neanche l’ironia “del meno siamo meglio stiamo” di una fortunata canzone di Renzo Arbore. Siamo di meno e non stiamo bene per niente. Dopo anni di calo delle nascite (dal 2008, ricorda l’Istat) adesso in Italia siamo proprio di meno, sensibilmente di meno. Se non fosse per un piccolo incremento dei cittadini stranieri (più 11.716 unità), la diminuzione rispetto all’anno precedente sarebbe ancora superiore: meno 141.777. Gli italiani diminuiscono perché i decessi aumentano a un ritmo sostenuto a fronte del persistente calo delle nascite: il deficit negativo tra nati e morti è stato di 227.390, appena mitigato dal saldo positivo degli immigrati. Siamo sempre più vecchi. Gli under 15 continuano a diminuire.

Per una straniante coincidenza, proprio oggi dal convegno dei giovani di Confindustria, in corso a Santa Margherita Ligure, è venuto l’annuncio che “la guerra è finita”. Questione di punti di vista. Se la produzione industriale riprendesse a crescere sul serio, ne saremmo tutti strafelici e gli ultimi dati sembrano aprire uno spiraglio positivo. Ma bisogna pur dire che il bilancio demografico dell’Istat assomiglia proprio a un bollettino di guerra. E vengono i brividi a pensare che i novant’anni del confronto iniziale proposto dall’istituto di statistica ci riportano al periodo successivo al primo conflitto mondiale.

Che cos’altro deve accadere perché le istituzioni e le forze politiche mettano finalmente la questione demografica, e quindi la famiglia, in cima all’elenco delle priorità? Necessità e urgenza sono i requisiti che secondo la Costituzione autorizzano i governi a utilizzare quello strumento legislativo straordinario (in teoria) che si chiama “decreto legge”. E quale superiore necessità, quale più incalzante urgenza ci potrebbe essere rispetto alla situazione descritta non da un comitato di liberi pensatori, ma dall’istituto centrale di statistica? Non si tratta, ovviamente, di prefigurare questo o quel percorso legislativo. Però bisogna intervenire subito, con efficacia e in modo strutturale. Se guardiamo all’agenda politica degli ultimi mesi, a quali provvedimenti abbiano invece catalizzato il lavoro del parlamento e il dibattito pubblico, c’è da dire che occorre cambiare radicalmente registro e direzione.

La musica deve cambiare anche nella narrazione collettiva sulla questione migratoria.

Il bilancio demografico dell’Istat, infatti, aiuta a smontare una volta di più i vaneggiamenti propagandistici sul presunto pericolo di un’invasione straniera imminente o addirittura già avvenuta. Su 60.665.551 persone residenti in Italia, i cittadini stranieri sono l’8,3 per cento, meno che negli altri Stati europei con cui siamo soliti paragonarci. E il saldo tra chi va via (compresi oltre 100mila italiani) e chi arriva è in flessione rispetto agli anni precedenti. Siamo meno attraenti degli altri Paesi e gli ingressi degli immigrati non compensano più i vuoti crescenti. La vera sfida, semmai, è quella dell’integrazione. Sono 178mila i nuovi cittadini italiani del 2015. Benvenuti.