Sebastiano Valfrè

Testimoni del Risorto 15.06.2016

I Savoia lo vorrebbero arcivescovo di Torino, anche in barba alla tradizione che da sempre riserva tale onore ai discendenti delle famiglie nobili; ma lui, che considera la sede episcopale più un pericolo che un onore, furbescamente fa venire da Verduno i suoi parenti più stretti. Che si presentano a corte così male in arnese da far cattiva impressione al re, costretto così a ritirar la proposta di nomina, per via di quei “parenti poveri” che avrebbero fatto disonore al futuro vescovo. Basterebbe questo episodio a dare la misura della spiritualità di un povero prete albese trapiantato in città, il beato Sebastiano Valfrè. Viene da una normalissima e numerosa famiglia contadina delle nostre Langhe, che tuttavia gli garantisce un minimo di istruzione elementare, grazie alla quale, prima ad Alba e poi a Bra, riesce a proseguire gli studi per diventare prete: perché questo è il desiderio che sente in cuore fin dai 12 anni. Per studiare teologia si trasferisce a Torino, dove si mantiene facendo l’amanuense, cioè ricopiando libri e lettere, ma ad Alba ritorna per farsi ordinare prete da mons. Brizio nel 1652, addirittura in anticipo rispetto all’età canonica, per cui ha bisogno della dispensa papale. A Torino, ancora suddiacono, ha conosciuto intanto la Congregazione dell’Oratorio di San Filippo Neri, o meglio l’unico componente di questa, il padre Cambiani, che sembra destinata a scomparire per mancanza di vocazioni. Sebastiano vi aderisce, affascinato dal carisma di Filippo Neri, e ne assorbe talmente bene lo spirito da riprodurre a Torino i tratti salienti della missione che quello aveva esercitato in Roma sessant’anni prima. Sembra, in particolare, ereditare il suo stile di predicare “alla semplice” per farsi capire da tutti, e così, per le strade di Torino, comincia a circolare una strana coppia: padre Cambiani, dotato di una bella voce, con il canto richiama i passanti, mentre Sebastiano li intrattiene con catechesi improvvisate sull’amor di Dio e sull’amor del prossimo. La sua fama comincia a diffondersi, e non solo in città, grazie al suo stile semplice e popolare che piace a tutti, nel clima generale di diffusa ignoranza religiosa del popolo e anche del clero. Da quel momento in poi il suo continuo ritornello sarà “Catechismo, catechismo” e si può dire che tutta la sua vita sarà spesa per la catechesi. Intelligente e con una solida preparazione teologica, non è però soltanto il predicatore della povera gente: quando c’è bisogno sa farsi ascoltare da nobili, principi, cardinali e dalle anime spiritualmente avanzate. Non è un caso, ad esempio, che molte anime mistiche della Torino secentesca, come la beata Maria degli Angeli e la Buonamici, o autentici eroi come il leggendario Pietro Micca, abbiano da lui la direzione spirituale, come non è un caso che principi, principesse e cortigiani lo vogliano confessore e predicatore a corte. Diventa, in particolare, il confidente e l’amico di Vittorio Amedeo II, al quale insegna che la giustizia deve precedere la carità; e di quest’ultima Sebastiano diventa l’impareggiabile organizzatore e distributore, e non a caso oggi lo si considera precursore e anticipatore della santità sociale del secolo successivo che si esprimerà in giganti della carità come don Bosco, il Cottolengo e il Cafasso. Per le mani di Sebastiano comincia a scorrere un fiume di denaro, che egli distribuisce, il più delle volte in modo anonimo, nei tuguri e nei ricoveri di Torino, per le cui vie spesso lo vedono passare stracarico di viveri e di vestiario per i poveri o con un malato sulle spalle da far ricoverare. Passa con estrema disinvoltura dallo sfarzo dei ricevimenti di palazzo reale alle celle maleodoranti dei condannati a morte o alla catapecchie dei miserabili, spendendosi senza misura per tutti. Le sue cure pastorali si estendono anche ai militari, ai quali vorrebbe inculcare un modo “cristiano” di far la guerra, agli Ebrei e a Valdesi. Muore il 30 gennaio 1710, alla soglia degli 80 anni, probabilmente di polmonite trascurata dal suo continuo donarsi senza alcun riguardo e senza rispetto per la sua età; ad assisterlo, come il più umile degli infermieri, il re in persona, Vittorio Amedeo II, al quale sono indirizzati i suoi ultimi consigli spirituali. Beatificato nel 1834, il beato Sebastiano Valfrè in questo Giubileo è stato identificato e presentato dalla diocesi torinese come “uomo di misericordia”, mentre Verduno sta dedicando, fino al 3 luglio, un’interessante mostra storico-religiosa “al suo figlio più illustre”.