I nuovi vescovi “targati” Francesco: in tre anni cambiato il volto delle diocesi

Sono 85 i nuovi vescovi scelti dal Papa in questi primi tre anni di pontificato. Più di un terzo delle 226 diocesi italiane ha cambiato volto.

Ottantacinque nuovi vescovi, di cui 61 nominati (49 titolari – di questi 3 sono abati – e 12 ausiliari), 23 trasferiti e 1 amministratore apostolico. In tre anni di pontificato, Francesco ha ridisegnato la “mappa” della Chiesa italiana, che in oltre un terzo delle sue 226 Chiese locali ha assunto un volto che appare inedito – grazie anche a vescovi giovani, con un’età media intorno ai 50 anni, e in gran parte provenienti dalle “periferie” – e che, nello stesso tempo, trova le sue radici più profonde nella figura del vescovo tracciata dal Concilio. È la “svolta” del primo Papa latinoamericano della storia: il primo a non aver partecipato al Concilio Vaticano II, ma nello stesso tempo a dichiararsene a più riprese “figlio”, come nel magistrale discorso pronunciato alla metà del Sinodo ordinario sulla famiglia.

Tra i nuovi vescovi c’è anche il nostro mons. Piero Delbosco, nominato vescovo di Fossano e Cuneo il 9 ottobre scorso e consacrato nella Cattedrale di Fossano il 29 novembre.

I nuovi vescovi voluti dal Papa sono “pastori con l’odore delle pecore”: non esiste un “pastore standard” per tutte le Chiese, quello che conta è la “prossimità” alla gente, perché “l’episcopato non è un’onorificenza, ma un servizio”. E la “mondanità spirituale” per Bergoglio è il primo dei pericoli da cui rifuggire: “Non ci serve un manager, un amministratore delegato di un’azienda, ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi”, il monito del discorso rivolto il 27 febbraio 2014 alla Congregazione per i vescovi. “La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, ma ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto”. “L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per gli altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare”. Dettagliato l’identikit del candidato all’episcopato, il cui profilo è fatto di “integrità umana, solidità cristiana, comportamento retto, preparazione culturale, ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa, disciplina interiore ed esteriore, capacità di governare, trasparenza e distacco nell’amministrare i beni”. Prima viene “il santo popolo di Dio”, con il suo fiuto e i suoi bisogni concreti: è il vescovo che deve adattarsi alle esigenze della sua gente, e non viceversa: “Un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio per il suo popolo non può essere vescovo”.