Come “abitare” questa nostra terra? C’è un modo - uno stile - di stare al mondo del cristiano che possa essere “buona notizia” per tutti gli uomini? È da queste domande che prende il via la Lettera pastorale che il vescovo Piero Delbosco ha inviato alle diocesi di Cuneo e Fossano. Sono riflessioni, indicazioni e spunti concreti per orientare il cammino di questo anno pastorale che gli organismi pastorali delle due diocesi hanno iniziato ufficialmente venerdì 9 settembre a Centallo nel corso di un’affollata assemblea. L’incontro è stato caratterizzato da tre momenti: la relazione iniziale affidata a don Claudio Margaria, docente dello Sti e Issr, la presentazione della Lettera pastorale da parte di mons. Delbosco e l’illustrazione di alcune attività pastorali (progetti e percorsi di catechesi, proposte per i giovani, ecc.) elaborate dai vari uffici diocesani e che di volta in volta presentiamo su La Fedeltà.
Abitare le relazioni
“La Lettera pastorale sull’ «abitare» - ha esordito il vescovo - è nata dai suggerimenti dei Consigli pastorali diocesani attorno a uno dei cinque verbi che hanno segnato il Convegno della Chiesa italiana celebrato nello scorso novembre a Firenze. Come è stato detto a Firenze, abitare è prendere atto della realtà così com’è, camminando con gli altri, con pazienza, aperti a futuro, in un clima di fraternità, di accoglienza e di sguardo positivo su ciò che ci circonda”. Dove o che cosa abitare? Sì perché come il convegno fiorentino ha evidenziato non si abitano solo luoghi: “La prima e fondamentale caratteristica del modo di stare al mondo del cristiano - scrive mons. Delbosco - è quella di stare ‘in relazione’; entrare in relazione, costruire relazioni, ascoltare, stare senza giudicare, creare opportunità d’incontro, regalare sguardi d’amore illuminati e benevoli. Non basta stare. Occorre accompagnare, occorre stare ‘attraversando’. Occorre stare come persone che sono in cammino”, e lo vivono nella gioia. Dopo le relazioni il vescovo individua altri quattro ambiti privilegiati da abitare: la terra, la casa (famiglia), la parrocchia, il tempo.
4 ambiti privilegiati
La terra innanzitutto perché “è la casa comune. Parliamo pure di ecologia ambientale, economica e sociale, ma anche di diseguaglianze, accoglienza e ospitalità, sobrietà. L’ecologia integrale deve mirare all’essenzialità, alla sobrietà, rispettando ogni cosa, senza mai abusare della creazione a noi affidata dall’Autore della vita. Se tutti siamo concittadini dello stesso paese, significa che non ci si può tirare indietro quando si parla di accoglienza, di integrazione, di ospitalità”.
In continuità con i piani pastorali degli ultimi due anni, “non smettiamo di farci vicini alla quotidianità delle famiglie. Sogno le nostre abitazioni come luoghi di incontro, di dialogo, di ascolto reciproco, dove ci si siede attorno allo stesso tavolo per guardarsi in faccia, con il televisore spento... Sogno le nostre case come spazi di fraternità dove dovrebbe essere normale aggiungere un posto a tavola per chi è meno fortunato... Sogno ancora le nostre case come luoghi aperti dove ci si interroga anche sulla condivisione materiale delle cose e del denaro al fine di far vivere meglio chi ne è sprovvisto”.
Dopo la casa, la parrocchia. “Le nostre parrocchie sono i luoghi dove tutti devono sentirsi a casa, sono case tra le case dove la comunione dev’essere visibile e palpabile per tutti coloro che vi accedono”. Per questo va curato il passaggio dalla “parrocchia - ufficio” alla “parrocchia - incontro”: “L’annuncio della novità del Vangelo di Gesù va coniugato con l’attenzione a chi fa più fatica, a chi è ai margini della comunità, a chi vive nel medesimo territorio, alla realtà sociale e politica, alle problematiche e alle solitudini, a chi è agnostico e a chi fa riferimento ad altre confessioni religiose”. Ogni parrocchia (o unità pastorale) è chiamata ad elaborare un “progetto pastorale”: uno strumento che, a partire dalla realtà presenta e dalle specificità di ogni singola comunità cerca di individuare delle linee per il cammino futuro della parrocchia stessa.
Anche il tempo va abitato: “Se Dio ci ha chiamati a vivere in questo contesto storico, non è un caso. È tempo benedetto da Dio e affidato alle nostre mani”. Come si legge nella sintesi finale del convegno di Firenze “si tratta di non limitarsi ad assumere l’atteggiamento delle sentinelle, che rimanendo dentro la fortezza osservano dall’alto ciò che accade attorno, bensì coltivare l’attitudine degli esploratori, che si espongono, si mettono in gioco in prima persona, correndo il rischio di incidentarsi e di sporcarsi le mani”. “La gratuità del tempo va aperta anche alla partecipazione nel sociale, alle istituzioni e alla politica - scrive il vescovo -. Sono settori delicati da condividere al fianco di credenti e non-credenti. La partecipazione alla cosa pubblica e il prendersela a cuore è una vera missione per il credente. La ricerca del bene comune va attuata ad ampio raggio: è una dimensione della carità evangelica ed è occasione per imparare a vivere e ad abitare con maggior responsabilità il proprio territorio. Quando ciò avviene ecco nascere nuovi rapporti di vera umanità con tutti”.
Proposte concrete
L’ultima parte della Lettera contiene una dozzina di indicazioni concrete, con una premessa importante. In questo “cambiamento d’epoca” che stiamo vivendo, dice il vescovo citando Papa Francesco, “chiedo alle nostre Chiese la voglia di sperimentare nuove vie per stare dentro i dibattiti e le domande della gente. Chiedo la capacità di ascoltare ed incontrare le persone nella loro concretezza, sapendo abitare con loro le grandi questioni. Chiedo la capacità di parlare la lingua di tutti, di ascoltare il grido di tutti, di condividere la strada con tutti, senza mai dividere le persone tra chi sta dentro e chi sta fuori... Dio abita tutto il mondo, non solo il ristretto mondo ecclesiale. A noi il compito di ‘trovarlo’ anche fuori dai nostri confini, di ‘accoglierlo’ là dove Lui ha deciso di operare”.
Tra le proposte emergono in particolare: i progetti di catechesi pre e post battesimale (con il nuovo progetto unitario di cui abbiamo già scritto su La Fedeltà); l’accoglienza dei profughi su cui le parrocchie devono interrogarsi, in collaborazione con i Comuni e le Caritas diocesane; la cura delle liturgie (“abbiamo bisogno di liturgie più ‘umane’, capaci di far sentire ‘a casa’ i fedeli”); l’attenzione alle nuove generazioni; la cura del creato; la capacità di stare accanto a chi è malato, a chi ha gravi disabilità, a chi vive fatiche psicologiche, a chi vive un lutto; infine mons. Delbosco esprime la sua preoccupazione per la scarsità di vocazioni sacerdotali: “Mi permetto di chiedervi di pregare il Signore perché ‘mandi operai’ in questa sua messe. Abbiamo bisogno di sacerdoti per le nostre comunità sia a Cuneo sia a Fossano. Guardando al futuro ammetto di essere preoccupato. Mi consola il fatto che Dio pensa a noi, a queste nostre due belle Chiese diocesane”. Che sono chiamate a camminare insieme, con la ricchezza delle loro realtà e della loro storia (Cuneo nel 2017 festeggia i 200 anni!): “Tra le due diocesi c’è stima reciproca, apprezzamento - ha sottolineato durante l’assemblea di venerdì -, ma ci sono ancora steccati da superare; in entrambe c’è preoccupazione per il futuro: abbiamo ancora tanta strada da fare per affrontare le nuove sfide!”.