Padre Giuseppe Picco

Testimoni del Risorto 14.09.2016

Dicono sia un “gesuita atipico”: non perché carente del carisma del fondatore, tantomeno perché privo delle qualità tipiche per il ministero. Se per “atipico” si intende, invece, chi non fu né professore né predicatore e neppure scienziato o missionario come la quasi totalità dei Gesuiti, allora sì, padre Giuseppe Picco è “atipico” in senso pieno. Eppure è un dato di fatto che mentre dei primi restano poco più di un nome o di qualche testo polveroso, di lui invece, anche a 70 anni dalla morte, la memoria è viva e il messaggio attuale, tanto che è vicina la sua beatificazione (è già “venerabile” dal 1997). Nasce a Nole, nel Torinese, nel 1867; inizia a studiare dai salesiani, conosce don Bosco e don Orione, ma finisce dai Gesuiti per motivi che Dio solo conosce. Cosciente dei suoi limiti ben oltre il dovuto, è travagliato dai dubbi per la sua indegnità ogniqualvolta è chiamato a fare scelte importanti, come la professione o l’ordinazione. Sacerdote ad aprile 1901, sogna ad occhi aperti una missione in Alaska, dai superiori ritenuta non propriamente adatta ai postumi della sua pleurite. Per cercar di fare di necessità virtù, prova a far diventare sua Alaska interiore tutte le località cui è destinato e, dai risultati che ottiene, sembra proprio non trattarsi di un inutile sforzo. È da segnalare la sua permanenza a Cuneo, prima ai Tommasini, e poi, dal 1915 al 1919, come cappellano militare, ma soprattutto a Gozzano, dove si occupa di preparare gli esercizi spirituali, dal 1912 fino alla morte, eccezion fatta per gli anni “cuneesi”. In ogni località, a dire il vero, più che di permanenza sarebbe più opportuno parlare di “itineranza”, perché il Padre non si adatta ad una vita sedentaria, men che meno se inoperosa. Per questo si inerpica per le montagne circostanti Gozzano, alla ricerca delle baite anche le più isolate, con qualsiasi condizione climatica, a portare una parola buona, un consiglio e soprattutto i sacramenti a chi per età o salute ben difficilmente potrebbe incontrare un prete. Per questo è a disposizione del parroco, di giorno e di notte e accetta volentieri gli inviti a predicare nelle altre parrocchie. Non gli si riconoscono particolari doti di predicatore, piuttosto una gran capacità di adattarsi all’uditorio, di entrare in sintonia con il livello culturale degli ascoltatori e soprattutto una spiritualità intensa. Le sue preoccupazioni pastorali sono particolarmente per gli uomini, che diventano anzi un personalissimo metro di giudizio sull’efficacia di qualsiasi iniziativa: tanti uomini equivalgono al successo di una “missione”, mentre pochi uomini sono per lui il sintomo di “poca fame della Parola di Dio”. Non tutti i superiori condividono l’esigenza di questa sua itineranza, che oltre tutto mal si adatta alla vita di comunità, facendo nascere contrasti e incomprensioni, da cui emergono anche i limiti del suo carattere, su cui però è disposto a lavorare a fondo fino a raggiungere un’invidiabile adattabilità. A patto, ovviamente, che non penalizzi i suoi doveri sacerdotali, per i quali è disposto anche ad autentici equilibrismi, pur di farli conciliare con l’obbedienza. Dal 1902 al 1945 viene “in ferie” a Crissolo: ufficialmente per riguardo alla sua pleurite, in realtà a “servizio permanente” dei pellegrini di San Chiaffredo e degli abitanti della zona, che va a cercare anche su per i monti, specialmente per le “missioncine” serali, di cappella in cappella, di baita in baita. Nelle restanti ore della giornata lo si trova in santuario, nel confessionale, a dispensar misericordia durante confessioni brevi (“anche troppo!”, dice malignamente qualcuno) che ridonano respiro all’anima, a volte dopo decenni di lontananza da Dio. A Crissolo come a Gozzano sono stupiti e ammirati di quel prete che vive di niente, si mortifica nel bere e nel mangiare, si arrampica per i monti con gli zoccoli ai piedi e che si trasfigura soltanto quando prega, facendo chiaramente capire che il suo cuore abita già in cielo. Lo trovano senza vita, disteso sul pavimento della sua stanzetta di Gozzano, il 31 agosto 1946. Sulla sua agenda aveva annotato “Il 31 agosto sarò in paradiso” e dato le ultime raccomandazioni per un funerale semplicissimo e povero. Aveva dunque previsto tutto, tranne una cosa: l’autentica fiumana, soprattutto di uomini, che si era mossa fin dalle prime luci dell’alba per dire un ultimo grazie al “piccolo” Padre, per il cui funerale non si era nemmeno suonato il campanone come per gli altri e che si svolgeva all’insolita ora delle sette di mattina, come aveva chiesto.