L’oroscopo dell’economia italiana prevede un 2017 migliore dell’anno appena trascorso: di poco, ma dovrebbe essere più positivo. L’oroscopo si basa sui dati Istat, che prevedono una crescita del Pil che si profila all’1%. Niente di che, ma da molto tempo si ragionava sui decimali. E comunque meglio dello 0,8-0,9 su cui si assesterà a consuntivo il 2016.
Ma a far prevedere bel tempo (o comunque discreto) concorrono due fattori esogeni alla nostra economia, dai quali essa trarrà sicuro beneficio.
Anzitutto il costante rafforzamento del dollaro, segno di un’economia americana forte e che crescerà ancora. Il biglietto verde si sta rafforzando rispetto a molte monete, euro compreso. Significa dare nuovo vigore alle esportazioni negli Usa, mercato assai prezioso per le nostre merci. Ma altre economie importanti si basano sul dollaro: tutti Paesi dove noi esportiamo più che volentieri i nostri prodotti, a cominciare dai Paesi produttori di petrolio.
E qui arriva la seconda, buona notizia. I prezzi del petrolio stanno crescendo, il barile ha superato stabilmente quota 50 dollari. Significa più ossigeno per molte economie mondiali che sul petrolio campano o prosperano, acquistando poi con petrodollari i nostri mobili, vini, macchinari. È vero che l’Italia è un Paese importatore di idrocarburi, quindi in teoria danneggiato dalla crescita dell’oro nero. Ma è anche vero che i danni diretti saranno compensati dalle maggiori esportazioni e dai crescenti fatturati per le nostre aziende che lavorano nel settore, dall’estrazione (Eni) agli impianti e oleodotti.
Sullo sfondo sta pure la geopolitica: proseguiranno le sanzioni alla Russia, una volta insediatosi alla Casa Bianca quel Donald Trump che tanto vorrebbe normalizzare le relazioni con il grande Paese euro-asiatico? A prescindere da ogni altra considerazione, è stata proprio l’economia italiana la più danneggiata dalle sanzioni vero Mosca. Se finissero, sarebbe festa anzitutto per l’agroalimentare.
Quindi l’alba appare rosea, anche se ogni rosa ha le sue spine, e la crescita dei prezzi petroliferi e in generale dell’economia dovrebbero riflettersi poi sull’inflazione. Niente di male per ora – siamo a quota zero – ma indirettamente sì. Da tempo la Bce guidata da Mario Draghi sta sostenendo la diffusione a costo zero di liquidità nel sistema economico tramite l’acquisto di titoli di Stato (e non solo) dell’eurozona. Btp e Cct compresi. Questo fa sì che i prezzi (e i rendimenti) degli stessi siano vicini allo zero.
Per l’Italia significa pagare pochissimo il costo del proprio debito pubblico. Ma se l’inflazione ripartisse – il vero obiettivo di Draghi – il “quantitative easing” della Bce terminerebbe. E i tassi d’interesse dei titoli di Stato crescerebbero immediatamente, o almeno di quelli che hanno un enorme debito pubblico e un’economia deboluccia. Indovinate qual è il Paese che rischia di più.