“Così ho riscoperto il generale Torrès”

Tommaso Salzotti ha dedicato un libro a un personaggio "minore, ma non troppo" del Risorgimento 

“Una vita ribelle - Avventure, cospirazioni e guerre di Giuseppe Torreri detto Torrès”. È questo il più recente lavoro dello storico benese Tommaso Salzotti (in foto a sinistra), che ripercorre le vicende di “un personaggio straordinario e misconosciuto del Risorgimento piemontese, minore (ma non troppo minore), sempre in prima linea tra gli uomini che fecero l’Italia”. Il libro è disponibile nelle edicole di Bene Vagienna, nelle librerie e su Amazon.

“La Fedeltà” pubblica integralmente il testo con cui Salzotti ha presentato il suo lavoro lo scorso 20 novembre nella sala Falco della Provincia a Cuneo, durante la kermesse “Scrittorincittà”.

Quest’ultima ricerca sarà associata nella mia memoria ai lunghi mesi trascorsi - negli archivi, nelle biblioteche e altrove - alle prese con un personaggio del Risorgimento piemontese (o nazionale?), un militante del socialismo barricadiero, un combattente delle guerre del ’48; nel ’27 in Grecia per la guerra d’indipendenza; in Belgio nei giorni dell’insurrezione anti-olandese del 1830; affiliato nel 1831 per la città di Alba e per le Langhe alla società segreta dei “Cavalieri della Libertà”; fuoruscito in Francia negli ultimi giorni del 1832; rientrato negli Stati sardi nel ’45; comandante del primo gruppo di volontari in aiuto dei “fratelli milanesi” delle Cinque giornate; “generale” della Legione Torrès in inseguimento degli austriaci in fuga verso le fortezze del Quadrilatero; protagonista della Repubblica romana del ’49 (con Mazzini e Garibaldi). Un personaggio inafferrabile, che entrava e usciva dall’Italia (l’Italia di allora: gli Stati sardi, il Granducato di Toscana, lo Stato della Chiesa…), di volta in volta libero come un guerrigliero senza macchia e senza paura o umiliato nell’oscurità delle carceri d’isolamento e rivestito dei panni dimessi del cospiratore (del cospiratore mazziniano). Nei testi del 150° anniversario questo personaggio non ha trovato né un posto né una citazione: un personaggio minore che meritava di essere riscoperto dentro l’arcipelago dei patrioti, dei repubblicani, degli esuli politici, dei combattenti nelle guerriglie spagnole e portoghesi o dei volontari al servizio degli eserciti regolari. Gli stessi storici del Risorgimento stenterebbero a ricostruirne il profilo politico e militare; in realtà di lui non si sapeva molto più di un’etichetta: quella che nel suo paese natale (Corneliano d’Alba) lo designa ancor oggi come “il generale Torrès”.

Per bizzarria della sorte, quel poco che tre anni fa venni a sapere di Pietro Giuseppe Luigi Torreri (nato nel 1803 e morto a Lisbona nel 1857) lo seppi non nella sua provincia ma in Toscana, nella Biblioteca Labronica di Livorno (nell’antica Villa Fabbricotti di viale della Libertà), dalla voce di uno storico locale. Egli mi accennò a un piemontese delle Langhe, ardito e spavaldo, che in arrivo dalla Francia aveva (in Piazza Grande) arringato il popolo e s’era fatto “dittatore di Livorno nel ’48” (nei giorni 3-4 settembre 1848, come accertai in seguito). Il consiglio dello storico fu questo: consultare le opere del Guerrazzi politico (non del romanziere un tempo alla moda): un buon consiglio: Guerrazzi era stato il nemico numero uno del Torrès e lo aveva espulso due volte dalla Toscana “per reprimere le mene repubblicane”. Ma per Guerrazzi (e dopo di lui, per gli storici militari come Ferdinando Augusto Pinelli) Torres non era nato a Corneliano, ma, a Monticello d’Alba, “in un umile terricciuola delle Langhe”. Del resto l’archivio parrocchiale di Corneliano era all’inizio della mia ricerca mutilo dei registri di nascita tra fine Settecento e i primi anni dell’Ottocento (asportati per ragioni di studio da una ricercatrice suora e riportati qualche tempo addietro, a ricerca avanzata).

Questo personaggio, dunque, mi sfuggiva dalle mani, non si lasciava afferrare. Mi mancavano troppe date; procedevo per indizi; mi mancava soprattutto la cornice degli avvenimenti; e gli anni “vuoti” erano sempre troppi. Del resto, anche nella tradizione orale della sua famiglia (una famiglia patrizia, composta di avvocati, medici, canonici) di lui erano stati tramandati gli aspetti più discutibili del personaggio, accentuando il carattere avventuriero della sua esistenza e i risvolti opachi della sua vita di cospiratore, in fuga dalle polizie di tutta Europa. Alla sua morte e negli anni immediatamente successivi, la famiglia ne rimosse parzialmente la memoria: infatti, pur potendo vantare i diritti di successione, trascurò di raccogliere l’eredità nel 1894 alla morte della vedova Felisarda Rosa De Silva. In tal modo andarono dispersi in Lisbona i documenti e le carte politiche del suo archivio personale; e in Italia, le lettere spedite da Giuseppe al padre e ai fratelli da Londra, da Marsiglia, da Parigi, da Lisbona e da Barcellona non furono conservate (si disse distrutte dalle donne di casa, quasi per segnare una distanza con la figura e le vicende del fratello avventuriero). Finalmente, l’incontro con uno dei discendenti della famiglia (l’avvocato torinese Alessandro Torreri) mi permise di utilizzare l’archivio di famiglia che - seppure esiguo - aveva pur tuttavia conservato alcuni documenti: lo scartafaccio che io ho denominato Abbozzo del 1850, il protocollo delle lettere (ahimè, non le lettere!), il bel ritratto ad olio del “generale Torrès” (datato 1848 e riprodotto in copertina) e altro, come uno stralcio di giornale portoghese con una lettera autobiografica del maggiore Joseph Louis Torres pubblicata sul “Correio de Lisboa” nel 1839; una nota biografica (Il generale Torres) di Oreste Scarzello (1933).

Un punto di svolta mi fu dato in un secondo tempo da due testi: la Storia del Piemonte (1850) del Brofferio (che gli fu amico e avvocato difensore e che lo ammirava definendolo “un eroe di Plutarco” per il suo intrepido inseguimento degli austriaci dopo le Cinque giornate di Milano); e la raccolta di documenti nel terzo volume dell’Archivio triennale delle cose d’Italia, 1855, di Carlo Cattaneo. La ricerca a questo punto - supportata da una laboriosa ricerca nell’Archivio di Stato di Torino (i fondi dei processi politici, dei gabinetti di polizia, dei consolati sardi in Spagna e Portogallo, ecc.) - si stava aprendo a sviluppi impensabili. Apparivano nuovi scenari (come i “fatti di Santa Vittoria d’Alba” all’origine della sua fuga all’estero e le peregrinazioni per la Francia, il Belgio, l’Inghilterra, ecc.); ma questa condizione di “irregolare” aggiungeva altre difficoltà interpretative al biografo attento a prendere le distanze da un certo camaleontismo, ossia dalle mezze verità e dalle simulazioni predisposte da Torres stesso per sparigliare le carte e fuorviare i pedinamenti e i controlli (una normale astuzia del cospiratore). Per questa ragione, la mia biografia si può definire, in larga parte, un racconto “a maglie larghe”, un racconto indiziario per essere in alcuni periodi basato su ipotesi non direttamente verificabili o su documenti d’archivio.

Un personaggio minore, dunque, ma “non troppo minore” da non essere citato dagli storici inglesi George Fitz-Hardinge e Joan Berkeley (Italy in the Making. 1848, III vol., Cambridge, at the University Press, 1940, 1968) per l’apporto dato alla campagna del ’48 e alla guerra regia.