Pantaleone Palma – 1

Testimoni del Risorto 08.02.2017

Può anche succedere che un prete, o per meglio dire un religioso, venga condannato dal Sant’Ufficio, dimesso dalla sua Congregazione, ridotto allo stato laicale (oggi si direbbe “dimesso dallo stato clericale”, ma la sostanza non cambia….) sospeso dai sacramenti, con imposizione dell’obbligo di soggiorno (cioè, in pratica, segregato in altro Convento) e oggi si parli di farlo santo. Può succedere, perché sul suo conto si son sbagliati, dando credito a fin troppo scontate calunnie, senza prendersi la briga di approfondire le accuse e ascoltare le sue difese: potere della calunnia a buon mercato, della gelosia e dell’invidia che dai tempi apostolici in poi sembrano sempre inficiare le comunità cristiane. Pantaleone Palma nasce a Ceglie Messapica (Br) il 15 aprile 1875, in una famiglia benestante che vanta, tra gli ascendenti, sacerdoti, uomini d’ingegno e musicisti. Per intelligenza e applicazione negli studi neppure il nuovo arrivato sembra fare eccezione, tanto che riesce a conseguire la maturità classica da privatista in appena 60 giorni e 60 notti di studio ininterrotto: una bravata che gli lascia come ricordo, non proprio piacevole, un esaurimento nervoso che durerà tutta la vita. Prete nel 1899 e subito insegnante in seminario, giusto per non smentire la tradizione culturale della famiglia chiede al suo vescovo di potersi laureare in Lettere e Filosofia. Una serie di fortunate coincidenze (o non solo….) lo porta così alla prestigiosa università di Messina e, soprattutto, a entrare in contatto con il padre Annibale Maria Di Francia che gli offre ospitalità come inquilino-studente. Quest’ultimo ha fondato a Messina le Congregazioni delle Figlie del Divino Zelo e dei Rogazionisti del Cuore di Gesù e nella triste realtà sociale e morale del quartiere Avignone, il periferico e più misero di Messina, sta accogliendo orfani, cui insegna un mestiere, e si prende cura dei più miserabili. Tra i due preti scatta la scintilla della perfetta intesa e di una sorprendente affinità, che portano don Pantaleone a scegliere padre Annibale come suo confessore abituale e propria guida spirituale, e questi ad affidare al primo incarichi sempre più delicati e inserendolo in posti-chiave della sua congregazione, fidandosi ciecamente di lui. È soprattutto il terremoto del 1908 che distrugge Messina a mettere in luce la carità e l’intraprendenza di don Palma, tanto da far dire al Di Francia che “meriterebbe numerose medaglie d’oro al valor civile per il coraggio dimostrato e un Paradiso sarebbe poco per l’eroica carità esercitata”. Nell’opera di ricostruzione del dopo sisma, padre Annibale trasferisce la propria Opera ad Oria ed ha la gioia di avere al suo fianco sempre don Palma, che ha abbandonato gli studi e ha chiesto di entrare tra i Rogazionisti, facendosi mendicante per suoi orfani: è lui l’anima e il promotore del calzaturificio, della sartoria, della falegnameria, della tipografia e dell’officina meccanica in cui gli orfani imparano un lavoro e il fondatore può scrivere con l’orgoglio di un padre: “Il padre Palma è stato per noi un inviato dalla Provvidenza. Mi ha aiutato con la sua intelligenza, la ferrea volontà e le sue non comuni attitudini a saper fare….”. Malgrado la salute fragile, il prete arrivato dal brindisino non si risparmia e mai si tira indietro: “Dovunque arriva, predica, confessa, tiene conferenze e riunioni, si occupa pure delle vocazioni per i nostri Istituti….sta spiegando la devozione del Pane di Sant’Antonio e sta collocando nelle varie chiese le cassette ‘offerte pro orfani’. Questo suo apostolato gli costa molti sacrifici…”. È abbastanza ovvio che di un prete così ci si possa fidare ed infatti padre Di Francia (che dal 2004 la Chiesa venera come santo), morendo nel 1927, lo lascia erede universale di tutta la sua Opera e di tutti i suoi beni: segno indiscusso di stima e di riconoscenza, ma anche per lui garanzia di continuità della sua intera fondazione, perché un uomo che così generosamente ha lavorato per impiantarla e farla crescere è sicuramente in grado di farla prosperare anche dopo la morte del fondatore e di impedire che essa scompaia con lui. Padre Palma scriverà in un momento per lui delicatissimo: “Il Fondatore è morto lasciando un documento insigne di stima e di fiducia verso la mia povera persona, nominandomi erede universale dei suoi beni e preferendomi ad ogni altro confratello della stessa Congregazione”. Già: “…preferendomi a ogni altro confratello”: è precisamente a questo punto che inizia il suo calvario.
(1 - Continua)