Suor Mary Rani

Testimoni del Risorto 05.04.2017

C’è anche una nostra contemporanea tra i nuovi santi, beati e venerabili annunciati lo scorso 23 marzo: nata nel 1954 ed uccisa nel 1995, la sua storia merita di essere raccontata più per quanto quella morte ha generato in questi ultimi 20 anni che per quanto da lei vissuto nei 40 precedenti. Mary o Mariam è nata nel Kerala, India del Sud, da una famiglia di semplici contadini, in un contesto così assolutamente normale da non stupire che dei suoi primi anni si faccia fatica a mettere insieme non già qualcosa di straordinario, ma anche solo degno di nota. Per il fratello “era una ragazza di poche parole e indossava solo abiti molto semplici”, mentre per mamma “era straordinariamente obbediente” e sapeva anche trovare il tempo per aiutare i genitori, in casa o nei campi. A 20 anni entra nella congregazione indiana delle Francescane Clarisse, che hanno come carisma, oltre la penitenza e l’educazione dei giovani, la condivisione con i più poveri. Le cambiano il nome in Rani Maria (che vuol dire “Regina”) e dopo la prima professione a maggio 1974 chiede con insistenza di “andare nel Nord dell’India per servire i poveri e morire per loro”. Per otto anni vive nella zona del Bijnoor, tra una popolazione poverissima ed economicamente sottosviluppata. Nel 1983 la trasferiscono a Odgadi, nella “Regione Centrale”, tra le popolazioni che il Governo ha sradicato dalla terra d’origine e disperso in una pericolosa landa deserta, senza nulla da mangiare né da bere. Infine, nel 1992, l’obbedienza la porta a Udainagar, i cui abitanti sono schiavizzati dai latifondisti e tormentati dall’usura e dalla mafia. I piccoli contadini, infatti, ricorrono agli usurai per prestiti che poi non riescono a restituire e di conseguenza sono spogliati dei loro piccoli appezzamenti di terreno: una vergogna che spesso li porta al suicidio, tanto che si calcola in ben 285 mila gli indiani che già si sono tolti la vita per motivi economici. È necessario, quindi, che lei si schieri dalla loro parte e ridia speranza, risvegliandoli dal loro torpore e restituendo loro dignità e così garantisce crediti finanziari ai più poveri con i gruppi di auto-aiuto, lavora per migliorare il welfare e le possibilità di guadagno, cerca di rafforzare i consigli di villaggio perché prendano coscienza dei loro diritti e delle loro responsabilità. Sono proprio gli usurai i meno entusiasti della suorina e del suo ascendente sui poveri, perché i loro sporchi affari cominciano a risentire gli effetti di quella coraggiosa attività. “Non ho paura di morire per i poveri”, confida a sua sorella a dicembre 1994, quando sente crescere l’odio nei suoi confronti mentre è impegnata a difendere una famiglia cattolica di umilissime condizioni contro le prepotenze di un politico della destra nazionalista. Il 25 febbraio 1995, sull’autobus che la sta riportando a casa, è massacrata con 54 coltellate dal contadino Samandar Singh, un killer assoldato dagli usurai. L’assassino, prontamente disconosciuto dai suoi mandanti, è condannato all’ergastolo e abbandonato da tutti, anche dalla moglie, che divorzia e subito si risposa. L’unica ad andarlo a trovare in carcere è suor Selmy Paul, sorella di suor Rani. Mentre la mamma dice da subito: “Bacerei le sue mani perché su di esse c’è il sangue di mia figlia”, Selmy fa invece molta fatica per arrivare a perdonarlo. Finalmente, un giorno riesce ad entrare nella sua cella per celebrare il rito induista del rakshabandan, legando cioè al polso dell’uomo il rakhi, il braccialetto della fratellanza. Tutta la famiglia di suor Rani ha poi cominciato a chiedere con insistenza, sconvolgendo anche il giudice, la grazia per Samandar, che viene liberato dopo 11 anni di galera e subito va a bussare a casa della sua vittima: qui è accolto come un figlio, completando così il suo percorso che gli ha fatto prendere coscienza della trappola del fondamentalismo religioso in cui è caduto e dei falsi amici che vi si nascondevano dietro; della discriminazione in cui vivono i cristiani in molte regioni dell’India e dell’odio fomentato ingiustamente contro di loro; del perdono insito nel cristianesimo e della legge dell’amore che lo contraddistingue. “Cerco nel mio piccolo di seguire il suo esempio, aiutando chi è meno fortunato di me”, dice Samandar, che si è convertito al cristianesimo e si è pentito di quanto compiuto. E il perdono, dato e ricevuto, è il più grande miracolo (anche se non necessario per la beatificazione) della piccola suor Mary Rani, che tra poco tempo splenderà nella Chiesa con l’aureola dei Martiri.