Ignazio Beschin

Testimoni del Risorto 10.05.2017

Riuscite voi ad immaginare seminarista prima ed in seguito prete, il ragazzo che i monelli di strada hanno simpaticamente ribattezzato “Mira”, per la sua sorprendente predisposizione a centrare i bersagli delle loro sassaiole? Se anche voi fate una certa fatica, sappiate che lo stesso è stato per sua sorella Maria, che lo dice in faccia a Beppino, otto anni ed esuberanza da vendere, accettata da lui come una sfida, anche questa da prendere di “mira” e, possibilmente, centrare. Per togliervi la curiosità diciamo subito che la vince il ragazzino, che negli anni non smentirà mai il suo soprannome, se è vero che hanno continuato anche in seguito a chiamarlo “frate Mira”. Avrete così capito che quindi non solo diventa prete, ma anche frate: come voleva lui, malgrado i preti della parrocchia spingano perché entri nel seminario diocesano. Le cose, per l’esattezza, sono andate così. A fine Ottocento anche a San Giovanni Ilarione (Verona) arriva un’epidemia di tifo che miete vittime: Maria, quella che non riusciva a credere che un campione di sassate potesse diventare prete, è tra i morti e anche il fratello Beppino si ammala, ma arriva solo all’orlo della tomba. “Fammi guarire per seguire San Francesco”, contratta questi con il buon Dio, che lo prende in parola perché probabilmente anche Lui vede di buon occhio il convento. Per non mettersi di traverso davanti ad un voto, nessuno gli fa così opposizione e anche i genitori, che di figli ne han avuti undici, sostengono la sua scelta di entrare a 13 anni nel Collegio Serafico di Chiampo (Vicenza), dove trova come rettore il padre Angelico Melotto, futuro martire in Cina. Con il nuovo nome di fra Ignazio professa i primi voti di Frate minore nel 1896 e, transitando per i conventi di San Francesco del Deserto, Monselice, Rovigno e Venezia, fa la professione solenne nel 1902 e l’anno dopo è ordinato prete, potendo così tornare l’8 settembre 1903 al suo paese per la prima messa: l’ex “fiondaiolo” dalla mira infallibile ha centrato il più importante dei suoi obiettivi. Gli lasciano proseguire gli studi per i quali sembra naturalmente predisposto e così si laurea in Morale all’Antonianum di Roma e ottiene il dottorato in Diritto canonico al seminario Patriarcale di Venezia. Sono titoli che, insieme alla sua grande intelligenza, lo impongono alla stima di confratelli e superiori, ai quali non sfuggono anche la saggezza, la prudenza e la grande carità con cui avvicina e sostiene tutte le miserie umane. Farebbe sicuramente strada nella gerarchia della Congregazione se non fosse che arriva la prima guerra mondiale, ad arruolarlo nel settore Sanità dell’esercito e a mandarlo a pulire e disinfettare stalle, porcili e latrine. Anche tra una disinfezione e l’altra non si dimentica però di essere prete, come testimoniano i commilitoni che lo cercano di continuo per avere conforto, consiglio e per scrivere a casa, ma anche i parroci dei territori in cui sosta la sua Compagnia e che nel tempo libero si presta ad aiutare nel loro ministero. Al momento del congedo, dopo i 33 mesi di naia, inaspettatamente il padre generale lo vuole a Roma, affidandogli la Vicepostulazione delle Cause di canonizzazione, incarico delicato e per lui spiritualmente proficuo, che gli fa acquistare con i santi del suo Ordine una famigliarità che sembra modellarlo ed incitarlo alla santità, come a dire che la frequentazione dei santi non è mai inutile. Comincia in questo periodo una sua frequentazione quantomai assidua del confessionale, da cui dispensa una profonda ed illuminata direzione spirituale. In primo luogo ai Terziari francescani della basilica Sant’Antonio a Roma e alle “Figlie di San Francesco” di Pisa, ma più in generale a quanti cercano in lui un direttore spirituale di esigente dolcezza e di amorevole comprensione. Tra gli altri, condivide ed accompagna il calvario spirituale del padre Pantaleone Palma, calunniato e sospeso a divinis dal Sant’Uffizio, trovando anche il tempo per avviare di sua volontà il processo di canonizzazione del confratello Bernardino da Portogruaro, della cui santità è fortemente convinto e nella cui vita si specchia. Ministro provinciale del suo Ordine per due mandati, affianca ad incarichi di docenza anche altre delicate mansioni, tutte contrassegnate da una bontà ed una delicatezza che lasciano il segno, malgrado non indifferenti problemi di salute, l’ultimo dei quali lo stronca il 29 ottobre 1952. Del padre Ignazio Beschin sono state riconosciute le virtù eroiche il 20 gennaio 2017, data dalla quale pertanto gli è stato riconosciuto il titolo di “venerabile”.