Bernard Gradus si commuove di fronte alla tomba del vescovo Dionisio Borra, nel santuario di Cussanio. “Grazie, - ripete -… grazie”. Era dal 1945 che non metteva piede in quella chiesa, da quando se ne andò sedicenne con la mamma Isabelle e il papà Henri. Una famiglia di ebrei francesi salvati dalla morte grazie ai “giusti” della nostra diocesi che li accolsero per due anni e li nascosero nell’allora seminario.
Lunedì scorso era a Cussanio, per la prima volta dopo settantadue anni, con la moglie Hakiko a rendere omaggio alla nostra città: a salutare i gli uomini buoni di allora che ci sono ancora e a pregare per chi non c’era più.
Bernard è un uomo di 88 anni pieno di vita, forse proprio perché ha conosciuto lo spettro di poterla perdere da un momento all’altro. È davvero la prima volta a Cussanio dopo tutti questi anni? “Sì - ammette, con un italiano invidiabile imparato proprio durante gli anni fossanesi -. Non sono più riuscito a tornare. Dopo la guerra sono rincasato in Francia dove ho iniziato un’attività imprenditoriale nel settore siderurgico. Ero sempre in giro per il mondo, ma non trovato mai il tempo di tornare, pur avendone un grande desiderio”. Oggi vive tra Parigi e il Giappone, dove ha conosciuto la moglie nel 1962. Le parla in giapponese? “No, e questo è uno dei miei più grandi sbagli…”, dice lui con un sorriso che allenta per un attimo la tensione del momento. Perché per qualche ora si ha davvero l’impressione di vedere il suo racconto prendere vita, respirando il terrore di quegli anni e percependo la vita flebile come una foglia d’autunno. Ad accoglierci per condividere l’ascolto del racconto c’è il rettore, don Pierangelo Chiaramello col suo vice don Danilo Bedino e fra’ Luca Gazzoni. Ci raggiunge anche il vescovo, mons. Piero Delbosco. A fare da cicerone, don Giuseppe Mandrile, parroco di Loreto e cancelliere diocesano. È da lui che parte questa storia, quella recente perlomeno.
Articolo completo su "La Fedeltà" del 12 luglio 2017