Don Francesco Maria Greco

Testimoni del Risorto 20.09.2017

Anche se credente e profondamente devoto, il farmacista calabrese Raffaele Greco non sogna proprio un figlio prete; men che meno si dovesse trattare del primogenito, al quale già ha progettato di lasciare in eredità la sua farmacia di Acri. Destino invece vuole che proprio in cuore a quello nasca la vocazione sacerdotale, che egli si sente in dovere di contrastare per quanto gli è possibile, non fosse altro perché viene a sconvolgere i suoi piani di padre previdente. In tal maniera, la vocazione del figlio diventa per forza di cose più meditata, sofferta e convinta, maturata soprattutto ai piedi della Vergine di Pompei, complice anche Bartolo Longo, fondatore di quel santuario e che poi sarà beato. Francesco riceve così la talare solo nel 1877, all’inizio della Teologia, ma fa ancora in tempo ad essere ordinato prete a 24 anni nel dicembre 1881, continuando però poi a studiare a Napoli fino al dottorato, perché essere “prete istruito” è la sua aspirazione. Che non è in contrasto, anche se un po’ ridimensionata, con l’esercizio concreto della carità cui è chiamato nel 1884, quando Napoli è messa in ginocchio dal colera e lui si mette a curare ed assistere spiritualmente i malati, esponendosi fino al rischio di contagio. Ne esce indenne, anche se irrimediabilmente segnato dalla carità, che lo aiuterà a guardare con occhio diverso la realtà di Acri, in cui ritorna con il dottorato in tasca e con un’attenzione nuova per i poveri e i sofferenti. “Da ora in poi sarò diacono, cioè servitore, di Gesù e di Maria”, aveva scritto prima dell’ordinazione; adesso è chiamato a declinare concretamente il verbo servire nella sua terra natale, da lui stesso definita “martoriata dalla miseria e dall’ignoranza religiosa”, che pensa di poter arginare soprattutto con un’attività catechistica a vasto raggio, ben strutturata, suddivisa per fasce di età e svolta da persone adeguatamente formate. In questo si fa aiutare da ragazze dalla fede soda e dalla generosità grande, riunite in associazione e affidate alla guida e alla formazione di sua sorella Maria Teresa. Le chiama “Figlie dei Sacri Cuori”, perché a questi ultimi si alimenta in modo speciale la sua spiritualità, e ad esse insegna in modo particolare ad “educare alla fede per educare alla vita”, ma chiede anche di aprirsi alle altre necessità della parrocchia, particolarmente all’assistenza a domicilio degli anziani soli e dei malati. Maria Teresa muore pochi mesi dopo, ma le succede la giovane Raffaella De Vincenti, vocazione religiosa mancata perché contrastata dai genitori, che finalmente adesso può prendere i voti, trasformando così di fatto l’associazione in congregazione, le cui aderenti, da “Figlie dei Sacri Cuori” diventano le “Piccole Operaie dei Sacri Cuori”. Il fondatore, da parte sua, preferisce familiarmente chiamarle “piccole manovali”, con chiaro riferimento a chi accanto ai muratori svolge un ruolo importante, anche se umile e nascosto. “Farmi tutto a tutti” è la sua regola di vita che propone anche alle sue suore, che da lui imparano pure che “l’uomo è veramente grande quando sa inginocchiarsi”. La sua intensa e prolungata preghiera, spesso notturna, che ha posto a base della sua vita sacerdotale, è infatti il termometro che denota quanta cura abbia della vita interiore e quanto sia convinto che la fecondità dell’azione apostolica dipenda dal rapporto intimo e profondo con Gesù e Maria. Quando don Francesco Maria Greco muore il 13 gennaio 1931, oltre alla fedeltà al suo proposito di “vivere intensamente per amore dei Sacri Cuori e per farli amare e conoscere dai fratelli”, lascia dietro a sé l’intenso cammino di fede fatto compiere alla sua parrocchia con il catechismo e l’oratorio, un ospedale (il primo del paese e unico per molto tempo) con il quale offrire una risposta ai bisogni anche sanitari della sua gente, un’apertura ed un apostolato intenso alle popolazioni di origine albanese di rito greco bizantino presenti in Calabria ed in Sicilia, come segno di speranza per il cammino ecumenico e nota distintiva e originale del suo apostolato. Lascia soprattutto la ricchezza di una nuova congregazione che negli anni è cresciuta di numero ed oggi è presente in Italia, Argentina, Brasile, Stati Uniti e India. È stato beatificato il 21 maggio 2016, primo parroco calabrese agli onori degli altari, riuscendo, come ha detto il cescovo di Cosenza, a far “risplendere il sacerdozio e questa Chiesa nella sua bellezza; una bellezza che passa nella via della semplicità e del servizio che questo sacerdote acrese ha vissuto in maniera eroica e disinteressata”.