“I cristiani che sono rientrati nella Piana di Ninive, sia nei villaggi controllati dai curdi che in quelli controllati dal Governo centrale di Baghdad, seguono con grande preoccupazione le vicende legate al referendum del 25 settembre per l’indipendenza del Kurdistan. Preoccupazione già esistente prima del voto e a maggior ragione adesso che le urne hanno sancito l’indipendenza”. Parola di padre Paolo Mekko, sacerdote caldeo della diocesi di Mosul, attivo nella Piana di Ninive, dopo l’esito del referendum curdo. Il 92,73% dei votanti, affluiti negli oltre 12mila seggi sparsi in tre province del Kurdistan autonomo, Erbil, Sulaimaniyah e Dohuk, ma anche nella provincia contesa (e ricca di petrolio) di Kirkuk, ha detto “bale” – “sì” in curdo – alla creazione di uno Stato autonomo. Un verdetto non riconosciuto dal Governo centrale di Baghdad, dal suo alleato nella guerra all’Isis, l’Iran, dalla Siria e dalla Turchia che non ha mai nascosto di non vedere di buon occhio la nascita di uno Stato curdo proprio a ridosso dei suoi confini. Tutti Paesi che hanno consistenti minoranze curde al loro interno: Turchia (oltre il 18%), Iran (circa il 10%), l’Iraq (circa il 20%) e la Siria (circa il 10%). Ma a pesare ancora di più sull’indipendentismo curdo è la bocciatura del referendum da parte degli Usa. Il segretario di Stato, Rex Tillerson, ha dichiarato che “il voto e i risultati mancano di legittimità e continuiamo a sostenere un Iraq unito, federale, democratico e prospero”. Pur rispettando le aspirazioni nazionali dei curdi, la Russia ha ribadito il proprio sostegno alla “sovranità, l’unità e l’integrità territoriale dell’Iraq, Paese amico, e di altri Paesi del Medio Oriente”.
La gioia dei curdi per l’indipendenza si trova adesso a fare i conti con la minaccia di un crescente isolamento internazionale... Continua