Mariantonia Samà

Testimoni del Risorto 17.01.2018

Nasce già orfana, perché papà è morto pochi giorni dopo il suo concepimento; è battezzata in casa dalla levatrice, perché si teme per la sua sopravvivenza; vive miseramente “tirando a campare” come la più normale e docile ragazza povera del suo tempo. È verso gli 11 anni che cominciano a manifestarsi in lei stranezze comportamentali che hanno del preoccupante: rimane contratta e immobile per quasi un mese, articola parole senza senso, si contorce, bestemmia e non prende cibo se non dopo la mezzanotte. Per la gente del paese è indemoniata e tutto si ricollega all’acqua, certamente contaminata, che ha bevuto a una pozzanghera, mentre con la mamma sta tornando dai campi. Per sei lunghi anni Mariantonia Samà deve convivere con questa specie di maledizione addosso, con un’avversione particolare alle cose sacre, perfino al suono delle campane; possiamo solo immaginare il dolore e la vergogna della povera mamma che vede la giovanissima figlia bestemmiare peggio di un carrettiere, scagliarsi con tutta la sua forza contro le immagini sacre, assumere atteggiamenti osceni e parlare con una volgarità degna del peggior scaricatore di porto. Dato che il demonio ci ha messo lo zampino, viste vane tutte le suppliche, le preghiere e le aspersioni, nonché vari tentativi di esorcismo dai quali questi esce non solo vittorioso ma addirittura ringalluzzito, tentano come ultima carta l’esorcismo dei certosini di Serra San Bruno, da raggiungere con un viaggio di non meno di otto ore, tanto costoso da dover essere sponsorizzato da una baronessa. Ci vogliono cinque ore ininterrotte di esorcismo davanti al busto-reliquiario di San Bruno, prima di costringere il demonio ad abbandonare il corpo della ragazza, dalla quale si separa con una promessa che sa di minaccia “La lascio viva, ma la lascio storpia”. Fatta salva la libertà di ciascun lettore di giudicare come meglio crede il complesso intreccio tra satanismo, esorcismo e affini, resta il fatto che Mariantonia torna a casa guarita e pronta ad iniziare la sua nuova vita. Seppur bugiardo di natura, il diavolo questa volta non manca però di parola e poco dopo la ragazza è costretta a mettersi a letto. Per sempre. Nessuno capisce se si tratta di una malattia artrosica, oppure neurologica, o semplicemente perché le sono state fatali “le cure di sabbia infocata di sole” cui si era sottoposta alcuni mesi prima per un’artrite alle ginocchia: certo è, come raccontano le antiche cronache, che “si mise a letto con le ginocchia contratte a mo’ del Crocifisso, e cosi rimase per tutta la vita”.  Vive con la mamma in un tugurio, composto da un unico locale, senza pavimento ed in cui non entra un solo raggio di sole. È totalmente immobile, “coricata sulla schiena, con le gambe rattrappite e le ginocchia levate in alto come una montagnola”; le dita riescono appena a sgranare il rosario: in questa posizione resterà ininterrottamente per sessant’anni. Per il suo sostentamento e per la sua igiene deve dipendere in tutto dagli altri: a provvedere alle sue necessità, dopo la morte di mamma, si prestano le suore del paese, infine alcune donne caritatevoli. Parallelamente all’inesorabile e lento rattrappimento del suo povero corpo sempre più inconsistente, cresce a dismisura la sua intima unione con il Crocifisso, appeso di fronte al suo letto, con il quale, oltreché la somiglianza fisica, Mariantonia sembra condividere un dialogo piuttosto intenso. La gente comincia ad accorrere: chi per trovare un consiglio, chi per ottenere una grazia, altri semplicemente per trovare da lei forza e serenità spirituale. È impressionante il viavai di visitatori, di supplicanti, di semplici fedeli che si avvicendano: con Mariantonia innanzitutto si prega, il rosario tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e a sera; a Mariantonia si chiedono preghiere per ottenere guarigioni e grazie materiali; da Mariantonia si trova il consiglio giusto, che lei sembra “leggere” nel crocifisso e che poi “traduce” o, meglio, sussurra al suo interlocutore.  Sempre, naturalmente, in quella scomodissima posizione in cui è stata bloccata nel letto, senza mai lasciarsi sfuggire un lamento, sempre disponibile a chi le chiede un aiuto. Vive come in clausura, o meglio come una reclusa; è per questo che la gente del paese la chiama “la monachella di San Bruno”. Muore il 27 maggio 1953, all’età di 78 anni: neanche da morta riescono a raddrizzare le sue gambe anchilosate e devono seppellirla così. Santa in vita e anche dopo morte per i miracoli che le si attribuiscono, nello scorso ottobre è stata riconosciuta venerabile e non dovrebbe tardare ad essere proclamata beata come i suoi devoti insistentemente chiedono.