La Costituzione e le polemiche sulla razza. Cosa dice la Carta e perché lo fa

L’Assemblea Costituente aveva principiato i suoi lavori nel giugno del 1946. Attenzione alla data. Era passato appena un anno, o pochi giorni di più, dalla primavera del 1945 che aveva segnato la fine della guerra con la sconfitta delle ideologie razziste e totalitarie di Hitler e di Mussolini. Gli ultimi prigionieri di Auschwitz, quei pochi scampati allo sterminio, erano stati liberati il 27 gennaio 1945 – quella data che oggi celebriamo come giorno della memoria. In nome della purezza della razza milioni di esseri umani erano stati orribilmente uccisi, e tantissimi altri avevano sofferto angherie, stenti, prigionia, esilio

L’articolo 3 della nostra Costituzione dice, fra l’altro, che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge “senza distinzione di razza”. Negli ultimi giorni intorno a queste parole si è sviluppato un dibattito surreale. Un uomo politico, che dice di voler difendere la razza bianca contro l’invasione dell’Italia da parte dei neri, ha aggiunto che parlare di “razze” è assolutamente legittimo, visto che la stessa Costituzione contiene questa parola. A questo punto altri – dalla sponda opposta – hanno proposto di cancellare quella parola dall’articolo 3, perché, dicono, le razze non esistono e non si deve neppure parlarne. Entrambe queste posizioni sono frutto di confusione.

Chi ha scritto quella frase nella Costituzione non voleva affatto legittimare i pregiudizi razziali, anzi li voleva condannare: perché forse è vero che le razze non esistono (occorrerebbe semmai spiegare prima che cosa ciascuno intende per razza) ma è certo che esistono i pregiudizi razziali; ed è questo che i costituenti volevano dire.

Ma c’è un punto più importante che va messo in luce. L’Assemblea Costituente aveva principiato i suoi lavori nel giugno del 1946. Attenzione alla data. Era passato appena un anno, o pochi giorni di più, dalla primavera del 1945 che aveva segnato la fine della guerra con la sconfitta delle ideologie razziste e totalitarie di Hitler e di Mussolini. Gli ultimi prigionieri di Auschwitz, quei pochi scampati allo sterminio, erano stati liberati il 27 gennaio 1945 – quella data che oggi celebriamo come giorno della memoria. In nome della purezza della razza milioni di esseri umani erano stati orribilmente uccisi, e tantissimi altri avevano sofferto angherie, stenti, prigionia, esilio.

Mentre i Costituenti si riunivano, quelle ferite erano ancora aperte e quelle lacrime non erano ancora asciugate. Questo particolare è la prima chiave di lettura della nostra Costituzione. Allora si capisce che cosa volevano dire quando dichiaravano che non è lecito fare distinzioni di razza.

Ma nella Costituzione c’è molto di più che il rifiuto del razzismo, del totalitarismo e del nazionalismo, le ideologie che avevano scatenato l’orrore e la follia della seconda guerra mondiale. C’è un progetto di società libera ma nello tempo solidale, dove l’uguaglianza non è solamente proclamata sul piano formale, ma tende a diventare effettiva.

Le Costituzioni nate dalle rivoluzioni illuministiche di fine Settecento (quella americana e quella francese), e quelle che poi si sono susseguite nell’Ottocento si preoccupavano di garantire le libertà formali e di proclamare l’uguaglianza davanti alla legge, ma non vedevano che le condizioni sociali, economiche e culturali della maggior parte della popolazione impedivano di fatto di esercitare quei diritti e persino di averne consapevolezza. Basti pensare che fino al 1950 e oltre chi nasceva in una famiglia contadina (all’epoca la metà della popolazione italiana) era destinato fatalmente a fare a sua volta il contadino, senza possibilità di scelta; e i suoi studi non andavano oltre la quinta elementare, se pur ci arrivava.

 

La nuova Costituzione, invece, sempre all’articolo 3, dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e impediscono il pieno sviluppo della persona umana.

La società nazionale si assegna dunque un compito ambizioso e difficile: promuovere lo sviluppo della personalità di ciascuno oltre i limiti che gli sarebbero imposti dall’ambiente sociale in cui è nato. Gli articoli seguenti specificano meglio questi nuovi diritti: diritto al lavoro, diritto ad una retribuzione adeguata al lavoro svolto e comunque sufficiente alle necessità della famiglia, diritto alla salute, diritto all’istruzione. E ancora: protezione dei deboli, degli svantaggiati, delle famiglie in difficoltà. Poi un principio caro alla dottrina sociale cattolica: che i diritti che si riconoscono al singolo individuo appartengono anche alle formazioni sociali spontanee (la famiglia, le associazioni, le chiese) nelle quali esso svolge la sua personalità. In altre parole, l’individuo non è solo di fronte allo Stato e lo Stato non è tutto.

Con questo programma lo Stato italiano veniva ad inquadrarsi nella formula dello “stato sociale”. Questo modello veniva adottato nello stesso periodo storico dalla maggior parte dei paesi dell’Europa occidentale e si propone di garantire un certo livello di benessere (in inglese welfare) a tutti, mantenendo la libertà dell’iniziativa economica e la proprietà privata dei mezzi di produzione – ed in questo si differenzia dal modello marxiano – ma operando di fatto una ridistribuzione della ricchezza. Non elimina le differenze, ma le rende meno drammatiche e definitive. In concreto, chi ha maggiori redditi paga più tasse, e il ricavato serve a finanziare il benessere di tutti.

Facendo questa scelta, i Costituenti hanno realizzato una sintesi fra le principali linee politiche presenti nell’Assemblea: quella cattolica, quella liberale, e quella socialista.

C’erano anche i comunisti, ma in quel momento la loro posizione si identificava con quella dei socialisti. Il valore storico e morale della Costituzione deriva, oltre che dai contenuti, proprio dal fatto che in essa si riconobbero, allora, uomini di ideologie molto diverse anzi contrastanti. Fuori dell’Assemblea le contrapposizioni erano fortissime. La realtà rappresentata nel film Don Camillo, girato nel 1952 ma ambientato nel 1947, era assolutamente veritiera e semmai un po’ troppo ottimistica nel mostrare che sotto sotto fra i due protagonisti c’era stima e persino affetto. Ma dentro l’Assemblea prevaleva la volontà di trovare l’accordo sui grandi valori e questo riuscì anche grazie al fatto che ciascuno degli schieramenti aveva eletto uomini di grande qualità e grande senso dello Stato, il meglio dell’Italia di allora. Fosse anche solo per questo, sarebbe una lezione da non dimenticare.

(*) scritto per il settimanale cattolico regionale umbro “La Voce”