Il Vescovo: “Lo slancio missionario non deve spegnersi, ma va ripensato”

A inizio febbraio mons. Delbosco ha viaggiato in Argentina dove lavorano 4 preti fossanesi e le missionarie di Gesù Sacerdote

Nel 2017 il vescovo Piero Delbosco era volato in Brasile per conoscere da vicino l’esperienza dei sacerdoti cuneesi e fossanesi  che  operano nella grande nazione sudamericana. Esattamente un anno dopo è tornato in Sudamerica, questa volta in Argentina, in particolare nella diocesi di Comodoro Rivadavia, al centro della Patagonia, nella quale molti preti fossanesi e missionarie di Gesù sacerdote prestano servizio fin dal 1963.

Tra il 2 e il 12 febbraio il vescovo di Fossano e Cuneo è stato ospite di don Giovanni Nota, don Giuseppe Piumatti, don Elio Ricca (don Romano Allasia, parroco a Sarmiento, è in Italia per problemi di salute, ma dovrebbe ripartire per il Sudamerica tra pochi giorni); ha conosciuto le loro comunità (Puerto Madryn, Rawson, Rada Tilly, Sarmiento); ha incontrato il vescovo titolare Joaquín Gimeno Lahoz e i suoi due ausiliari, chiamati qualche mese fa a collaborare con lui per sostenerlo nel suo ministero (ha problemi cardiaci) e per aiutarlo nella guida della diocesi: 422 mila abitanti (di cui l’83% battezzati) con 33 parrocchie, disseminate su un territorio immenso di 234 mila km quadrati!

Quali sono stati i momenti più significativi del viaggio?

Sicuramente gli incontri con i tre sacerdoti. Ho parlato a lungo con loro, ho conosciuto le loro comunità, ho apprezzato tantissimo il loro lavoro. E ho visto quanto siano stimati e ben voluti dalla gente. A partire da don José Piumatti, il più anziano (ha compiuto 90 anni il 14 dicembre scorso), molto amato, di grande spessore umano; poi don Elio Ricca, che ha uno stretto rapporto con il vescovo e anima una comunità, quella di Rada Tilly, che mi ha riservato un’accoglienza calorosa; don Juan Nota, per il suo grande lavoro a servizio del progetto pastorale diocesano e per il metodo catechistico che lo vede impegnato in prima persona a scrivere i testi diocesani (per i catechisti, i genitori, i bambini...).

Insieme a coloro che li hanno preceduti hanno dato molto anche a livello di animazione sociale e culturale: penso alla scuola agraria di Sarmiento, al laboratorio di taglio e cucito di Comodoro, alle cooperative per l’acquisto della casa...

A Rawson ho incontrato anche un bel gruppo di missionarie laiche di Gesù sacerdote che, tra il resto, mi hanno chiesto notizie sullo stato di avanzamento della causa di beatificazione del loro fondatore, don Stefano Gerbaudo.

Personalmente ho trovato arricchente anche il lungo dialogo con i “vertici” della chiesa locale, il vescovo Lahoz e i suoi due ausiliari, che mi hanno permesso di farmi un’idea più precisa sui modelli pastorali adottati in Argentina, un paese immenso in cui convivono mondi molto diversi tra loro, anche sotto il profilo ecclesiale.

La diocesi di Comodoro segue da quasi trent’anni un modello pastorale ben definito, scandito in diverse tappe... che cosa lo ha colpito maggiormente?

In primo luogo il forte coinvolgimento del laicato, a vari livelli, anche in quello dell’animazione liturgica, soprattutto quando il sacerdote è assente. La corresponsabilità laicale emerge ad esempio nella parrocchia Maria Auxiliadora, a Rawson, il cui territorio è stato organizzato in modo capillare da don Nota, puntando su una fitta rete di persone che hanno compiti diversi. Un lavoro necessario e fondamentale anche per contrastare il proliferare delle numerose sette evangeliche, piccole ma molto agguerrite.

Questa maggiore responsabilizzazione del laicato, per una Chiesa che sia davvero azione di popolo, insieme ad una pastorale centrata sulla famiglia, sono aspetti che indubbiamente devono farci riflettere sui nostri modelli ecclesiali.

Dopo il suo viaggio in Argentina (e lo scorso anno in Brasile), che futuro ha l’esperienza di servizio missionario dei nostri sacerdoti, in particolare fossanesi, anche considerando la scarsità di nuove vocazioni?

Io penso che la dimensione missionaria delle diocesi di Fossano e di Cuneo non deve spegnersi, ma in questo momento dobbiamo chiederci: dove è più urgente impegnarsi? Scopo dell’attività missionaria, come scrive il Concilio Vaticano II nel decreto “Ad Gentes”, è “l’evangelizzazione e l’impiantazione della Chiesa nei popoli e nei gruppi in cui ancora non ha messo radici”. Da questo punto di vista la Chiesa in quelle terre è ben salda, anche se c’è ancora carenza di sacerdoti.

Come continuare ad alimentare questa dimensione missionaria?

Credo sia un argomento che dovremo presto affrontare insieme come vescovi cuneesi: dobbiamo valutare le priorità e magari concentrare le nostre forze su poche esperienze. Ma la missionarietà della Chiesa deve avere anche un secondo verso, quello che punta alle nostre diocesi piemontesi, soprattutto a quelle realtà (come Torino e dintorni) dove la parrocchie sono molto grandi: ci potrebbero essere dei sacerdoti “fidei donum” provenienti da altre zone d’Italia che vengono a prestare servizio all’interno della nostra regione...

Occorre alimentare una nuova missionarietà nelle nostre zone pastorali, nelle nostre cittadine, altrimenti la Chiesa rischia di morire, soffocata dal fenomeno dell’indifferenza religiosa.

Nel concreto, rientrerà qualche sacerdote dall’Argentina o dal Brasile nei prossimi anni?

Dall’Argentina per ora no, anche perché, tranne don Elio Ricca, gli altri tre sacerdoti hanno più di 75 anni e tutti e quattro, come ho già spiegato, stanno svolgendo un ottimo servizio pastorale nelle loro comunità.

Nella tarda primavera del 2019 rientrerà invece dal Brasile don Damiano Raspo. In questo momento sta lavorando nella sua diocesi a preparare il pre sinodo dell’Amazzonia (che si terrà nella primavera del 2019 nelle diocesi amazzoniche), in attesa di quello che Papa Francesco riunirà a Roma nell’ottobre 2019.