Titus Zeman – 3

Testimoni del Risorto 25.04.2018

Non immaginano (o fingono di non sapere) che “ogni giorno adempiva il 180 - 190% della norma per aiutare i carcerati che non avevano forza sufficiente per raggiungere la propria quota e perciò non avrebbero ricevuto il cibo”, come ricorda un compagno di prigionia, che da non credente ammira quel sacerdote cattolico che “lavora al posto degli altri”. Il lavoro, assolutamente senza protezione, che svolgono a contatto con l’uranio è estremamente pericoloso e debilitante. Anche a don Titus Zeman viene diagnosticata una elevatissima radioattività corporea: i suoi polmoni presentano vistose “macchie” sospette e, malgrado questo quadro clinico preoccupante, non gli consentono l’accesso a nessuna cura, pur in presenza di una crescente compromissione cardiaca, polmonare e neurologica. È forse questo a pesare a favore della sua scarcerazione allo scadere della metà della pena scontata in cella e poco dopo un ciclo di ossigenoterapia cui è stato sottoposto: bisogna infatti evitare ad ogni costo che muoia in carcere, per non accrescere quella fama di martirio di cui già gode presso i cattolici slovacchi, che sarebbe controproducente per il regime. Viene scarcerato il 10 marzo 1964, con il divieto assoluto di parlare di quanto vissuto durante la detenzione, ma a pesare su di lui, soprattutto, è il divieto di esercitare il ministero sacerdotale, anche se la sua salesianità lo porta inevitabilmente ad interessarsi di bambini e giovani, radunandoli di nascosto per momenti di formazione e per accompagnarli ai santuari mariani della zona. Vive con il fratello nel suo paese natale e si mantiene lavorando come operaio in una fabbrica tessile. Solo nel 1967 gli viene consentito di celebrare messa, ma deve farlo ad un altare laterale, senza paramenti e in forma assolutamente privata, cioè senza la partecipazione di alcun fedele. Ha comunque la netta percezione di essere costantemente sorvegliato e pedinato e ciò limita tantissimo i suoi movimenti e la sua attività. A partire dai primi mesi del 1968 può ricominciare ad esercitare pubblicamente il suo ministero, pur dovendo ancora provvedere al proprio mantenimento con il lavoro, questa volta di magazziniere. I segnali politici che accompagnano la “Primavera di Praga” gli restituiscono un po’ di coraggio e di ottimismo, anche se non si allenta l’azione di sorveglianza nei suoi confronti che lui avverte come un continuo fiato sul collo. Si tratta tuttavia di un sollievo temporaneo, perché con l’occupazione della Cecoslovacchia da parte delle truppe del Patto di Varsavia comincia a temere di nuovo. Ha iniziato intanto la sua battaglia per ottenere la revisione del processo, ma non avrà la gioia di vederne la conclusione: sarà suo fratello ad ereditare questa sua passione per la giustizia e la verità storica. Nel 1970 la sua pena di 25 anni viene commutata in appena 3 anni, perché sono cadute le accuse più gravi, quali il tradimento della patria e lo spionaggio, ma bisognerà attendere il 1991 perché venga definitivamente riabilitato e si riconosca la sua completa innocenza rispetto a tutte le accuse ascrittegli. Don Titus ne avrà certamente gioito, ma dal cielo, perché muore improvvisamente l’8 gennaio 1969 per un “triplice infarto miocardico connesso ad aritmie”. Si scoprirà in seguito che, anche durante il periodo della libertà vigilata è stato trattato come una “cavia da esperimento”, con l’applicazione su di lui di un metodo di cura rischioso, mai più usato a partire da quel momento. Secondo il suo desiderio trova sepoltura accanto ai suoi genitori e durante il funerale i superiori gli riconoscono che il suo sacerdozio “continua nel sacerdozio di coloro che hai aiutato a diventare servi dell’altare. Varie decine di salesiani-sacerdoti ti ringraziano oggi del loro sacerdozio… Hai fatto molto, quando hai aiutato molti giovani salesiani a poter studiare all’estero e diventare preti”. Fino ad affermare che “se ogni sacerdote che muore in Slovacchia lasciasse un patrimonio spirituale come don Titus, i funerali dei sacerdoti slovacchi non sarebbero segno di perdita, ma rafforzamento delle file dei sacerdoti”. La Chiesa ha riconosciuto il martirio di don Titus e come tale lo ha beatificato il 30 settembre 2017 e mai come in quell’occasione si sono rivelate autentiche e profetiche le parole che questo salesiano martire era solito pronunciare: “Agisci sempre secondo il modello di don Bosco e gli altri ti seguiranno”.

(3ª parte - fine)