Don Emanuele Gomez Gonzales e Adilio Daronch

Testimoni del Risorto 09.05.2018

Prete e chierichetto siamo più abituati a vederli officiare insieme all’altare, che a vederli salire insieme alla gloria degli altari. Dal 21 ottobre dell’anno scorso, però, non è più così, perché con la beatificazione di don Emanuele Gomez Gonzales e del giovanissimo Adilio Daronch la Chiesa ha dimostrato che parroco e chierichetto, se capaci di vivere il sacramento che insieme celebrano, possono davvero farsi santi insieme. Don Manuel, nato in Spagna nel 1877 e sacerdote a 25 anni, esercita per due anni il ministero nella sua diocesi prima di passare in Portogallo, dov’è parroco per 7 anni, ed infine in Brasile. Qui gli affidano la parrocchia di Nonoai, vasta quanto una diocesi, e deve subito rimboccarsi le maniche, perché c’è tutto da fare o da rinnovare. E ci riesce, perché in 8 anni la parrocchia cambia volto. È un prete che si spende per catechizzare, celebrare e predicare (tanto che la chiesa torna a riempirsi), ma che contemporaneamente dichiara guerra all’analfabetismo e per questo apre in canonica una scuola gratuita frequentata dai bambini dei poveri, che sono la stragrande maggioranza dei suoi parrocchiani. Dato che la sua gente, poi, ha bisogno del lavoro come del pane e che l’uno e l’altro scarseggiano, eccolo trasformarsi in imprenditore, grazie allo spirito di iniziativa che si è portato dietro dall’Europa. Tira su un forno per cuocere i mattoni, con questi fa costruire case per i senza tetto, sistemare la canonica e restaurare la chiesa: sono tanti gli operai che così possono assicurare il pane alle loro famiglie, mentre gli altri sono spronati e aiutati a coltivare riso e patate. Un prete in gamba, insomma, che sa farsi amare dalla gente e che è capace di “perdere tempo” con tutti per avvicinare ad ogni costo qualcuno. Tra le famiglie frequentate da don Manuel c’è anche quella del farmacista Daronch, figlio di un’italiana emigrata in Brasile con il marito a fine Ottocento; è un brav’uomo, padre di 8 figli e cattolico fervente, che insieme alla moglie distribuisce gratuitamente medicine ai più poveri, ma che purtroppo muore nel 1923. Che i suoi insegnamenti e soprattutto il suo esempio non siano stati inutili per la famiglia, lo dimostra soprattutto Adilio, il suo terzo figlio, che quando muore papà ha solo 15 anni: è sensibilissimo, premuroso, attento ai bisogni degli altri. Prega volentieri e diventa anche il chierichetto più assiduo e fedele di don Manuel: insieme a lui batte palmo a palmo la parrocchia e lo accompagna nei suoi frequenti viaggi pastorali tra gli indios della foresta. Dopo la Pasqua del 1924, il vescovo manda don Manuel ad amministrare i sacramenti ad un gruppo di coloni stanziati nella foresta: si tratta di un viaggio pericoloso, perché i rivoluzionari hanno iniziato la “caccia al prete”, ma don Manuel non si tira indietro. Destino vuole che improvvisamente si ammali l’uomo che avrebbe dovuto accompagnarlo e fargli da guida ed è così Adilio a venire insieme a lui. Tutte le comunità cristiane incontrate strada facendo cercano di dissuaderli a continuare il viaggio, ma don Manuel vuole compiere in fretta e bene l’incarico che il vescovo gli ha affidato. Anche i rivoluzionari hanno un loro compito da svolgere: eliminare quel prete troppo intraprendente e troppo coraggioso. E sono sulle sue tracce. Alcuni militari, che si sono offerti di accompagnarli per un tratto di strada, in realtà li portano nella zona più profonda della foresta, dove si annidano i capi rivoluzionari. Qui don Manuel e il suo chierichetto sedicenne vengono legati a due alberi e fucilati mercoledì 21 maggio: una vera e propria esecuzione in odio alla fede.  I loro corpi restano insepolti per ben quattro giorni, durante i quali le bestie della foresta li rispettano quasi miracolosamente, perché solo il 25 maggio i coloni di Três Passos riescono a dar loro sepoltura. Contrassegnano le loro tombe con una croce, più grande per il parroco e più piccola per il chierichetto, fino a quando riescono a dar loro una più degna sepoltura. Infine, dal 1964 le loro spoglie, ormai considerate vere e proprie reliquie, sono traslate nella chiesa parrocchiale di Nonoai, mentre sulla collina di Feijão Miúdo viene eretto un monumento a ricordo del loro martirio. È infatti opinione comune che siano morti per amore del Vangelo e sempre più numerosi sono i devoti che accorrono ad invocare aiuto dal Signore per loro intercessione. Un ricordo che si conserva nei decenni e che la Chiesa, 83 anni dopo, altro non ha fatto che ratificare e ufficializzare.