Si può essere protagonisti grazie a quello che si fa, ma anche malgrado quello che si fa. Sembra sia quello che sta capitando all’Unione Europea, additata da molti a protagonista negativa di questa stagione dell’Europa, trascurandone aspetti positivi o imputandole responsabilità che non ha o che avrebbe gestito male.
Ne è un esempio l’atteggiamento verso l’UE dell’attuale governo italiano e la tragedia di Genova è stata solo l’ultima occasione per provare a scaricare sull’UE responsabilità della politica italiana, passata e presente, speriamo non anche futura.
Dura da anni il rimprovero all’UE per la politica di austerità promossa durante la crisi economica dell’ultimo decennio. Vi sono buone ragioni a sostegno di questa critica: è solo in parte sbagliato il bersaglio, individuato nei Palazzi di Bruxelles dove opera la tanto deprecata euro-tecnocrazia, dimenticando che questa si limita ad eseguire le decisioni prese dai politici nazionali, quelli italiani compresi. Decisioni che risalgono indietro nel tempo, quando vennero sottoscritti i Trattati, quello di Maastricht in particolare, con il suo corteo di parametri e vincoli per la finanza pubblica, aggravati successivamente da accordi inter-governativi, come il Trattato internazionale “fiscal pact” del 2012 o prima ancora, in materia di asilo, dal Trattato di Dublino in vigore dal 1997.
Lunga sarebbe la lista dei patti sottoscritti per l’Italia dai governi che si sono succeduti e che l’hanno impegnata istituzionalmente, salvo revisioni o interpretazioni condivise.
La pressione migratoria, peraltro allentatasi negli ultimi tempi, non ha allentato le tensioni tra Roma e Bruxelles, accusata di aver lasciata sola l’Italia, in nome di regole da essa stessa sottoscritte e diventate nel frattempo inique. Di qui l’insistenza per rivederle ottenendo, in attesa di una loro revisione, misure di sostegno finanziario sia diretto che indiretto, accordando all’Italia significativi margini di flessibilità nell’azione di rientro dalle sue difficoltà finanziarie, a cominciare dalla riduzione del suo imponente debito pubblico.
In tale contesto, suona stonata la sortita di quanti nel governo non hanno esitato a cavalcare la tragedia del ponte crollato a Genova per addossare all’UE responsabilità che sarebbe meglio cercare in casa nostra, se vogliamo salvare lo straccio di credibilità che ci resta. Dire che il ponte sarebbe crollato per la politica di austerità imposta da Bruxelles o che sarebbero state fatte mancare all’Italia risorse europee per intervenire sulle infrastrutture dei trasporti. A questa accusa la Commissione europea ha risposto tempestivamente, ricordando i miliardi di euro messi a disposizione dell’Italia per questi interventi, trascurando per eleganza di menzionare l’alta percentuale di Fondi europei assegnati al nostro Paese e tuttora in attesa di essere utilizzati, senza dimenticare però di fare osservare che il rispetto dei parametri e vincoli finanziari sottoscritti non privavano l’Italia di definire sovranamente le proprie priorità, a cominciare da un’equilibrata politica di bilancio che adesso qualcuno è pronto a dissestare ulteriormente con spese prive di coperture.
“Genova per noi” dovrebbe essere l’occasione per un serio esame di coscienza sulle nostre proprie responsabilità, traendone urgenti conclusioni operative: sarebbe la sola risposta dignitosa di “noi per Genova”.